LA RIVOLUZIONE LETTERARIA DI VINCENZO CONSOLO: LA RETTA E LA SPIRALE (di Vittorio Panicara)

Le opere di Vincenzo Consolo, dal Sorriso dell’ignoto marinaio allo Spasimo di Palermo, agli articoli e ai saggi, rivelano in modo evidente l’interesse dell’autore per la forma espressiva e per la cura della parola, esercitata senza formalismi o, tanto meno, purismi di sorta, ma con la ricerca costante della fusione tra nuovo e antico, tra popolare e classico. Il discorso linguistico di Consolo si innesta sulla tradizione greco-latina, còlta nella sua contiguità con l’oralità del siciliano, in un impasto originale e creativo, caratterizzato dalla giustapposizione di frasi e da invenzioni lessicali – dagli arcaismi ai neologismi colti – che non vogliono strabiliare, ma avvolgere il lettore in un’aura partecipata di emozione e, talvolta, di passione.

Consolo era cosciente di quelli che possono essere i motivi di una decadenza, quella della narrativa odierna, decadenza che probabilmente discende da una crisi più profonda, di valori e di consapevolezza civile. E non a caso di valori parlano i romanzi e i saggi di Consolo, riuniti, questi ultimi, nella raccolta Di qua dal faro. Probabilmente non c’è una sola opera del nostro autore che non riveli anche al lettore più distratto la tensione ideale di chi scrive per dire ciò che non si deve tacere e per denunciare gli orrori del presente mediante il ricordo del passato, sia esso il Settecento illuminista o l’Ottocento risorgimentale; intendo riferirmi evidentemente all’impegno civile di chi, come Consolo, ha saputo dare una voce a quelle classi sociali che mai hanno potuto veramente esprimersi, schiacciate come erano e come sono dall’oppressione della Storia. Occorre sottolineare, se ce ne fosse bisogno, il coraggio di uno scrittore che non ha rincorso il successo, ma ha voluto vedere fino in fondo nell’animo nostro e nelle contraddizioni del sociale per mostrarcele e rammentarcele in tutta la loro negatività.

Apostolo di una Sicilia diseredata e in perenne esilio da se stessa, di un’isola che é emblema di una condizione umana alienata e che è incline più alla sopraffazione che alla solidarietà, Consolo, nato a Sant’Agata di Militello ma a lungo trapiantato a Milano, è stato testimone di drammi arcaici e recenti, dalla Sicilia contadina agli eventi del dopo Sessantotto, ed è questo ruolo di testimone scomodo che egli si è ritagliato, a conferma di una vocazione non di esegeta del passato, ma di interprete di drammi antichi rivissuti nella drammaticità del nostro tempo. Forse può sembrare contraddittorio, ma si ripensi alle reminiscenze omeriche e agli scambi temporali tra passato e presente de L’olivo e l’olivastro: come non vedere in essi una dimensione atemporale, quasi mitica del racconto?

Il modo in cui Consolo affronta tali problematiche, in un ambito narrativo moderno ed epico insieme, rivela chiaramente la volontà di chi vuole andar oltre il romanzo, ma vuole farlo senza perdere la passione stessa del raccontare. In lui la tensione verso il mito e la foga di chi intende la verità come denuncia si fondono in un’unità che turba piuttosto che rassicurare il lettore. Consolo non dispensa rimedi e non propone soluzioni, ma rivela il dramma della Storia e dell’esistenza dell’uomo, non rifuggendo dal privato, per esempio dal tema dell’amore, né da tragedie epocali come la mafia.

E il mezzo di una tale rivoluzione letteraria, alla ricerca delle perdute radici verghiane, una ricerca poetica al cui risultato mal si adatta l’etichetta di «anti-Gattopardo», una ricerca che rinnega il realismo in nome della metafora ma rincorre la concretezza delle cose rifiutando ogni vuota astrattezza, è una lingua arcaica e insieme sperimentale, splendida fusione di dialettismi e di innovazioni, di immagini e di concetti accostati in una serie che è sì rettilinea, ma che avvolge il lettore come in una spirale: la retta e la spirale.

 

Un tributo della Treccani:

http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/percorsi/percorsi_82.html

 

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