CARO FIGLIO MIO… (recensione a cura di Vittorio Panicara di «Con i piedi nel fango» di Gianrico Carofiglio con Jacopo Rosatelli)

Un best-seller di oggi che parli di politica? «Con i piedi nel fango, conversazioni su politica e verità», dialogo tra lo scrittore Gianrico Carofiglio e il giornalista Jacopo Rosatelli, edizioni GruppoAbele 2018.

In tempi in cui il discorso politico in televisione e nei social sembra non avere più regole, Carofiglio, già impegnato in politica con il PD e oggi osservatore attento, vuole riportare a livelli più consoni alla materia il dibattito politico. I titoli dei quattro capitoli – Indifferenza e rancore, Menzogna e manipolazione, Verità, sostantivo plurale, Le parole e le storie – danno un’idea della serietà dei suoi intenti. Non mancano inoltre le citazioni dotte, con l’indicazione delle fonti alla fine del volumetto.

Rispondendo alle domande di Rosatelli, Carofiglio esordisce con un’invettiva di Gramsci contro l’indifferenza in politica: «Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare». L’agire politico è qui inteso come una partecipazione attiva, nutrita di cultura, studio e passione, niente a che spartire con lo smanettare agitato e rancoroso di chi si sfoga nei social. Rosatelli obietta che oggi lo spazio per un intervento di questo tipo non c’è più, ma Carofiglio non è d’accordo, anche se i mercati, Bruxelles e Berlino sembrano lasciare poca autonomia. L’autore, cioè l’intervistato, crede evidentemente nella politica e cerca di dimostrarlo in tutti i modi, magari difendendo il compromesso, il ragionamento, l’argomentazione e la credibilità fondata sulla sincerità e sulla sicurezza delle proprie affermazioni. I suoi bersagli sono la semplificazione, la “deriva comica”  (Giuseppe Antonelli) priva di autoironia, la demonizzazione della politica.

Perbenismo eccessivo? Elogio acritico del politicamente corretto? Forse, ma nel secondo capitolo Carofiglio si confronta addirittura con Machiavelli e il famigerato capitolo XVIII del «Principe», quindi con il problema se chi governa debba o no mantenere fede ai patti, e il discorso sale di livello. Carofiglio cerca di salvare il profilo etico dell’agire politico, spiegando che le indicazioni di Machiavelli attengono a un principe che ha conquistato da poco il potere nell’età del Rinascimento e non a un soggetto politico democraticamente eletto. Vero, ma Rosatelli obietta che il problema della liceità e dell’efficacia della menzogna nella politica odierna in ogni caso rimane: si può mentire a fin di bene? In certi casi estremi sì, risponde l’autore, soprattutto se sono in gioco valori costituzionali supremi e solo se si è consapevoli e sicuri di ciò che si fa.  L’importanza di dire la verità è enorme, ma a patto che si parli “delle” verità, nel rispetto del pluralismo delle idee, per un avvicinamento graduale a una verità e a soluzioni condivise; avvicinamento fra persone e opinioni alla ricerca del compromesso. Carofiglio collega la verità alla chiarezza e alla fondatezza di ciò che si dice e infatti tende a rifiutare la cosiddetta “post-verità”, le macchinazioni complottiste e la «semplificazione paranoide» (evidente anche qui l’opposizione a qualsiasi populismo). I criteri della comunicazione politica vanno ridefiniti, lottando contro la “decivilizzazione regressiva” alla Trump, l’esibizione ostentata come lo streaming (Grillo-Bersani, 2013) e l’esibizionismo virtuale della rete.

L’ideale per Carofiglio è un intellettuale, o un uomo politico, che sia un uomo di cultura secondo la definizione di Bobbio: una persona che semina dubbi invece di dispensare certezze. Dopo aver criticato lo story-telling in politica, Carofiglio afferma a chiare lettere:

Il cuore del messaggio politico, insomma, non sono i programmi ma i valori.

Ma come si giustifica il titolo? Chi sta «con i piedi nel fango»? La risposta, un po’ inaspettata, è in un aforisma di Orwell riportato nelle ultime pagine del libretto:

Gli utopisti con la testa fra le nuvole e i realisti con i piedi nel fango.

Percorrere la strada della politica significa sporcarsi con il fango per aiutare gli altri ad uscirne, e questo avviene soprattutto in Italia, in contesti difficili che occorre conoscere a fondo. Il principio di realtà è indispensabile per una buona politica, che sia comunque ispirata a un’utopia, cioè a un orizzonte di valori che faccia da guida all’azione politica. Le parole chiave per creare un senso di comunità, oggi più che mai necessario, sono giustizia (intesa come solidarietà e uguaglianza), ribellione, bellezza, scelta.

 

Il riassunto delle righe precedenti non pretende di essere esaustivo, ma dà probabilmente un’idea della visione della politica dell’autore. Ben vengano testi come il suo, che riportano in primo piano gli ideali, i valori, la discussione e il confronto delle idee a scapito della politica urlata, da tifo calcistico, che conosciamo fin troppo bene. Quasi tutte le sue considerazioni sono dettate dal buon senso e sono condivisibili, eppure… Eppure al lettore rimane un retrogusto un po’ amaro. Si ha l’impressione che l’autore abbia in mente un modello astratto di politica fatto di buone intenzioni e idealità, ma che rimanga nella sua analisi un po’ alla superficie delle cose. Un gioco intellettuale, nonostante il richiamo al principio di realtà, piuttosto che un esame attualizzato del mondo globalizzato e della democrazia in crisi. Anzi, che nella democrazia rappresentativa di oggi ci sia un deficit di rappresentanza non sfiora neppure la mente di Carofiglio, così come l’attuale discussione sull’establishment neoglobalizzato – di cui ha fatto parte lo stesso Obama, tanto esaltato dall’autore – non entra affatto nelle considerazioni del Nostro.

L’opposizione a Machiavelli, tra l’altro, è un po’ scolastica (adatta a una lezione liceale, senza offesa per i liceali), quasi banale, e trascura tutta la drammatica discussione che c’è stata nella storia del pensiero politico sulla “ragion di Stato”. Se Machiavelli ha separato la morale dalla politica, facendo di questa una scienza, come è possibile ridurre la portata del “Principe”? E un principio filosofico come quello di “verità”, tanto dibattuto da Socrate in poi, può essere risolto nel semplice ambito politico dello Stato di Diritto e della democrazia liberale? È giusto fare riferimento all’idea dell’approssimazione, ma chi riconosce il momento in cui si è arrivati in cima alla piramide della Verità?

Il richiamo finale al “fango” della situazione italiana, più che mai opportuno, forse doveva anticipare la trattazione del rapporto tra verità e politica, il macro-tema del testo, in modo da far capire al lettore che l’autore non ha dimenticato la “realtà effettuale” (ancora Machiavelli!) della politica a favore dei valori democratici e di libertà. Sarebbe bastato modificare la struttura del discorso.

La mia ultima osservazione critica, che spero non troppo ingenerosa, riguarda la parte in cui Carofiglio non accetta la seguente citazione di Pasolini:

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Certo, tutto il testo ha come sua tesi l’esatto contrario di questa affermazione, ma Pier Paolo, che  viveva in una situazione storica molto particolare, certamente diversa, aveva doti di predizione assai sviluppate, riconosciute da tutti, e forse poteva aver visto nel giusto. Carofiglio dice soltanto di detestare i profeti, ma non può essere sicuro che altrettanto facciano i suoi lettori.

 

Un commento

  1. […] L’accusa risentiva dello “stragismo” e del clima degli “anni di piombo”, quando la sfiducia nello Stato era diffusa e collettiva, e forse può risultare esagerata. Ha contestato la considerazione di Pasolini Gianrico Carofiglio in «Con i piedi nel fango», ma con ragioni che mi paiono poco convincenti. Si veda la mia recensione: https://giornatedilettura.wordpress.com/2018/05/31/caro-figlio-mio-recensione-a-cura-di-vittorio-pan…). […]

    "Mi piace"

Lascia un commento