Deceduto a Milano il 21 gennaio di sei anni fa, Vincenzo Consolo è noto al grande pubblico per i romanzi ambientati nella sua Sicilia – era nato a Sant’Agata di Militello (Me) il 18.2.1933 – e scritti in una lingua fascinosa e antica, ma innovativa e sperimentale. I motivi per interessarsi di nuovo a lui sono tanti e vari; eccone alcuni.
L’IMPEGNO CIVILE
In tempi in cui la grande letteratura d’impegno civile sembra riscuotere sempre meno consensi e in cui si fa a gara a tacere dei rapporti tra mafia e Stato, ricordare Consolo può essere l’occasione buona per riparlare di mafia e di Storia, di ingiustizie e di lotte popolari. Non per niente nel 2017 è uscita la raccolta di suoi testi giornalistici «Cosa loro»:
L’IMPORTANZA
Il suo posto nel Novecento italiano gli è stato riconosciuto dallo stesso Cesare Segre nell’introduzione al Meridiano che include tutte le sue opere:
“Voglio subito enunciare un giudizio complessivo: Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazione. La sua scomparsa ha turbato tutto il quadro della narrativa nel nostro Paese, rimasto senza un punto di riferimento alto e, per me, indubitabile”.
Si legga l’articolo di Andrea Gentile
da cui cito
“Lo spazio nella letteratura è vasto quanto il mondo, varca a volte i confini stessi del mondo, diventa infinito” scriveva Consolo in Di qua dal faro.
LA LINGUA
La lingua di Consolo è sicuramente idonea ad affrontare i grandi temi dell’uomo e della società sulla scorta della tradizione classica e della cultura tradizionale siciliana, fondendo l’elemento linguistico antico con vocaboli nuovi e con forme inusitate.
Si veda in proposito questa intervista, rilasciata a Rai Cultura, sul presunto parricidio compiuto nei confronti di Sciascia:
http://www.letteratura.rai.it/articoli/il-parricidio-di-consolo/165/default.aspx

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