UNA BREVE RIFLESSIONE E QUALCHE CITAZIONE SULLA FOLLIA (Vittorio Panicara)

Cosa vuol dire essere folli?

Difficile arrivare a una soddisfacente definizione della follia che non rientri in qualche trattato di psichiatria e che dia le risposte che vorrebbe l’uomo comune. Ma forse si può fare, magari con l’ausilio di qualche citazione.

Si potrebbe iniziare citando Bertrand Russell, che mette in rilievo la particolarità della pazzia:

L’equilibrio tranquillizza, ma la pazzia è molto più interessante.

Si tratta di un interesse scientifico, o c’è qualcosa d’altro? Non sarà che, se il folle non ha equilibrio mentale ed è dunque “anormale”, noi “normali” ci sentiamo più tranquilli (e superiori)?

Già nel Settecento Montesquieu scriveva:

I francesi […] chiudono qualche pazzo in un istituto, per persuadere quelli che stanno fuori che sono sani. ( Lettere persiane)

Il famoso barone illuminista sembra in effetti anticipare una riflessione posteriore  di Goethe:

La pazzia, a volte, non è altro che la ragione presentata sotto diversa forma.

Un’affermazione del genere riconosce razionalità alla follia, o per lo meno ne sottolinea una lucidità di cui tutti del resto ci rendiamo conto.  Ma a questo punto servirebbe un metodo sicuro per accertare il discrimine tra lo stato di salute mentale (il savio) e la malattia vera e propria (il folle). Altrimenti avrebbe ragione Friedrich Nietzsche:

Meglio esser pazzo per conto proprio, anziché savio secondo la volontà altrui! 

In questo caso, se l’interpretazione è giusta, il filosofo tedesco rivendica all’uomo la libertà di pensare e di comportarsi al di fuori delle regole e delle convenzioni (magari baciando un cavallo?), prima che gli altri stabiliscano qual è la norma e inibiscano la nostra capacità autonoma di determinare e affermare la nostra volontà.

Come si vede, considerare l’uomo come una realtà omogenea, intrisa di razionalità, porta a una contraddizione inspiegabile e insanabile, quella tra l’autodeterminazione individuale e la norma sociale, tra la “follia” (intesa nel senso positivo dell’originalità creativa, che può arrivare alla trasgressione) e l’individuo conformista e ordinario (l’uomo-massa del nostro secolo, per intenderci).

Ma è noto come la “scoperta” freudiana dell’inconscio abbia poi dato fondamento scientifico alla visione di un uomo solo in parte consapevole delle sue pulsioni, dominato dagli istinti e controllato da un io conscio molto limitato; ecco allora non solo la spiegazione del conflitto uomo-società (con il principio di realtà a cui deve soggiacere il principio del piacere), ma anche la definizione di stati psichici come la nevrosi, la psicosi, la schizofrenia ecc. Eppure, un nesso inscindibile lega l’inconscio, che si rivela, oltre che negli atti mancati quotidiani, nella realtà onirica, e la coscienza dell’uomo, giacché nel folle emergono, ben oltre la sua capacità di controllo, le pulsioni (Triebe) che, modificate e camuffate, caratterizzano i sogni. Sicché…

Il pazzo è un sognatore sveglio

(Sigmund Freud).

Ecco allora la definizione che cercavamo, rispettosa della dignità del folle, e tale da renderlo più vicino a noi, sognatori inconsapevoli benché massificati.

 

P.S.

Fonte dell’illustrazione:

Elogio della Follia. Erasmo da Rotterdam

 

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