
Se l’esistenza è un borgo cupo (Nell’imminenza dei quarant’anni, 1954, da Onore del vero), in cui si riflette la condizione umana, e la Parca tesse la tua infanzia con quella di tuo figlio / che traversa la piazza con le rondini (Parca/Villaggio,1951, da La barca, edizione ampliata), il velo dell’allegoria è sottile e oltrepassarlo è facile grazie alla “naturalezza” della poesia e alla sua funzione conoscitiva. Soprattutto se la poesia è quella di Mario Luzi, del quale ricorre oggi, 20 ottobre 2022, il 108° anniversario.
Mario Luzi (Castello, 20.10.1914 – Firenze, 28.02.2005) non solo è stato uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ma della stessa levatura, o poco meno, è la sua figura complessiva di scrittore e intellettuale, se si considera che fu anche validissimo drammaturgo, critico letterario, traduttore, critico cinematografico e accademico italiano: un autore che ha attraversato tutto il secolo, lasciando in tutti i campi di cui si è occupato l’impronta indelebile di una parola che è elemento di vita e rivelazione del senso della vita individuale e del vivere insieme.
Negli anni Trenta, nelle riviste dell’avanguardia letteraria, polemizzò spesso in favore dell’ermetismo, di cui divenne un esponente emblematico con la prima raccolta poetica, La barca (1935), che lo fece conoscere e apprezzare, tra gli altri, dal giovane Giorgio Caproni, che vi riconobbe una musicalità piana e suadente e un tremore tutto cristiano. Affiora già in queste primissime opere, infatti, quel determinismo religioso platonico-agostiniano che sorreggerà anche la sua produzione successiva. Luzi tende al totale adeguamento di libertà e necessità/obbedienza in vista di un itinerario a Dio che è sotteso a tutta la sua opera e pone obiettivi spirituali via via più elevati.
All’ermetismo rimandano anche i componimenti degli anni successivi, con Avvento notturno, Un brindisi e Quaderno gotico. La poesia acquisisce qui una rara forza immaginativa, quasi orfica, che coniuga tra loro gli echi di Campana e di Rimbaud. La ricerca di Luzi prosegue durante gli anni della guerra e oltre, con le poesie degli anni Cinquanta di Onore del vero (1957). È a questo punto che la poesia di Luzi rinuncia a creare da se stessa un mondo poetico “sublime”, dedotto a priori (A. Zanzotto) e accetta la sfida che gli lancia una realtà lacerata e caotica come quella esterna al soggetto poetante. Rimanendo, però, nell’ambito percettivo di un tempo interiore bergsoniano e proponendo un esistenziale approfondimento di coscienza che fa, appunto, onore al vero. Il tutto, si badi, all’insegna della continuità della sua poetica in tutte le sue fasi.
Più tardi le poesie scritte dagli inizi fino al 1960 confluirono in Il giusto della vita, prima grande sezione di Tutte le poesie. Nel frattempo Onore del vero vinse il premio Marzotto e ottenne grande fortuna di critica (Corti, Giuliani, Caproni, Giudici, Bàrberi Squarotti, ecc.). Sostanzialmente avulso da riferimenti strettamente biografici, il mondo rurale di Luzi rivela qui un’inquietudine esistenziale prettamente contemporanea, che vivifica e informa di sé il senso profondo di quegli anni di speranze deluse, sospinte sempre verso un fantomatico futuro, in un clima di ‘immutabilità del mutamento’ storico-politico (A. Zanzotto). Sempre in quegli anni Luzi polemizza con il Neorealismo e con l’ideologismo in letteratura con articoli usciti nel mensile fiorentino La Chimera (1954-55), mentre inizia la sua carriera di docente di letteratura francese all’università di Firenze (1955) e dal 1973 di letterature comparate all’università di Urbino.
Gli anni Sessanta, segnatamente con Nel magma (1963-1966), una serie di composizioni scritte di getto, con grande rapidità e senza troppe correzioni, segnano una svolta decisiva nella poetica di Luzi: pur non rinnegando la vocazione ermetica, il poeta supera il lirismo della tradizione, ormai ritenuto inadeguato, attingendo ispirazione dalla realtà ferina della vita (seguendo in questo lo stesso Dante), e descrivendo un mondo più attuale e contemporaneo, come lui stesso sostenne: Non è un mondo di dannati, ma di gente sospesa e disorientata; il valore etico è purgatoriale, ma la realtà ha colori decisamente infernali. Le poesie degli anni Settanta di Su fondamenti invisibili (1971) e Al fuoco della controversia (1978) saranno riunite con quelle precedenti degli anni Sessanta nel secondo volume di Tutte le poesie, ovvero Nell’opera del mondo (1979). Si tratta di una poesia che si amplia progressivamente nei temi e fa ricorso a una più esplicita comunicatività, ricorrendo a inserti prosastici e limitando l’ambito dell’indagine introspettiva.
Ma questi furono anni di fervore creativo anche nel teatro (Ipazia venne radiotrasmessa dalla Rai nel 1971) e nella saggistica, con i suoi studi di francesistica e le sue riflessioni sul simbolismo, sulla creatività in poesia e in prosa, sul rapporto con il sacro. E nel frattempo continuarono la sua attività giornalistica, le traduzioni da autori inglesi (Coleridge, Shakespeare) e francesi (Racine per la RAI, 1960). A partire dal 1979 si parlò spesso di lui come candidato per il premio Nobel, ma nel 1997 gli fu preferito un altro italiano, Dario Fo, con suo vivo disappunto (un’intenzione anti-letteraria contro di lui, così commentò la decisione).
Le poesie raccolte in Per il battesimo dei nostri frammenti (1978-1985) e quelle dei primi anni Novanta mostrano ancora uno straordinario vigore compositivo e un sorprendente rinnovamento nella versificazione e nella testualità. In Bruciata la materia del ricordo l’epifania dell’autore si riduce alla sua sola “visione” del reale. Nelle sillogi successive la parola riacquista tutta la sua forza:
Non c’è distanza, l’evento è nel testo che si scrive, è nella parola che viene impiegata, che cerca se stessa, che cerca le ragioni della sua presenza; questo porta all’interrogazione
(Colloquio. Un dialogo con Mario Specchio, Milano 1999).
Negli ultimi anni di vita intensificò il suo impegno civile, condannando la prima guerra del Golfo e successivamente la guerra della NATO in Serbia. Si schierò pubblicamente con l’Ulivo nel 1996, criticando l’impegno di Silvio Berlusconi in politica. Ma soprattutto denunciò il calo della partecipazione politica e della passione per la cosa pubblica.
In occasione del suo novantesimo compleanno venne nominato senatore a vita della Repubblica Italiana. Morì nel 2005, un anno dopo.
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FONTI
Le informazioni e le citazioni sono tratte dagli articoli on-line della Treccani
https://www.treccani.it/enciclopedia/mario-luzi/
https://www.treccani.it/enciclopedia/mario-luzi_%28Dizionario-Biografico%29/
e da
Mario Luzi, Tutte le poesie, Garzanti 1988.

Un articolo molto interessante che dipana con acume di esegetica la complessità poetica dell’opera luziana. Da questa lettura il tessitore critico compone un quadro che rivela la grandezza di un poeta e mette in luce la disattenzione del suo tempo. Il male dei poeti, se possiamo definirlo, è riconducibile alla veggenza e quindi alla capacità di anticipare il futuro e di vivere in un altrove lontano dal presente. È questa forse la difficoltà che determina le motivazioni di non essere compresi e riconosciuti mentre sono in vita.
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La ringrazio dell’apprezzamento e complimenti a lei per l’analisi del “mondo” della poesia e dei poeti. In Luzi convivono sia l’impegno dello scrittore che la passione civile, quale si avverte nei suoi atti pubblici.
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