Tra Einstein e Bohr: le sette brevi lezioni di Rovelli

Della mia formazione scientifica liceale ricordo il fascino che in me suscitarono le lezioni di chimica, di biologia e di anatomia, ma non posso dire lo stesso per quelle di fisica. Se alle prime associavo la meraviglia per le formule di un cristallo, per la ricchezza della biodiversità o per l’articolata fisiologia umana, una fitta nebbia grigia avvolgeva invece la disciplina di Faraday e Newton: non ne ero ammaliata, e la studiavo male. 

Da lettrice di saggistica, ho provato ad approcciarla da prospettive diverse, con autori diversi; tuttavia solo uno di questi è riuscito a suscitare in me una scintilla di interesse. Si tratta di Carlo Rovelli e del suo Sette brevi lezioni di fisica, uscito per Adelphi nel 2014

Contrariamente a quanto si potrebbe dedurre dal titolo, il pamphlet in questione non ha una struttura elencatoria. Piuttosto, si presenta al lettore come una narrazione piuttosto unitaria delle conoscenze raggiunte e mancanti della fisica più moderna, sviluppata in 7 episodi (l’ultimo, soffermandosi su noi umani, può essere considerato un epilogo).

Protagonisti dei primi sono «i due pilastri della fisica del Novecento»: la relatività generale e la meccanica quantistica. Preceduta nel 1905 dalla Relatività ristretta,la generale vede la luce dal genio di Einstein nel 1915. Nonostante il successo del precedente modello, infatti, il fisico si era accorto di come le deduzioni cui era giunto non quadrassero con quanto si sapeva allora sulla gravità. È così, da questa insoddisfazione intellettuale, che nasce «la più bella delle teorie scientifiche», come la definì Lev Landau e sulla quali Rovelli scrive: 

«Ci sono capolavori assoluti che ci emozionano intensamente, il Requiem di Mozart, l’Odissea, la Cappella Sistina, Re Lear... Coglierne lo splendore può richiedere un percorso di apprendistato. Ma il premio è la pura bellezza. E non solo: anche l’aprirsi ai nostri occhi di uno sguardo nuovo sul mondo. La Relatività Generale, il gioiello di Albert Einstein, è uno di questi».

Il nocciolo della teoria, per comprendere la quale vi consiglio questo saggio, consiste in un completo ribaltamento delle deduzioni newtoniane sulla gravità, per cui lo spazio non contiene il campo gravitazionale, ma è costituito da esso; non è un contenitore della materia, ma lo spazio è materia. 

Si tratta di una geniale semplificazione, raccontata qui per il lettore profano con entusiasmo e lucidità, sottolineandone le ripercussioni sulla concezione della dimensione temporale: «non è solo lo spazio a incurvarsi, è anche il tempo. Einstein predice che il tempo passi più veloce in alto e più lento in basso, vicino alla Terra. Si misura, e risulta essere vero». 

Difficile invece attribuire un solo nome alla seconda colonna portante della fisica, la meccanica quantistica, dato il suo successo in tutti gli ambiti di sperimentazione e di applicazione. Convenzionalmente la sua nascita è attribuita a Max Planck, che nel 1900 scopre l’esistenza dei quanti di energia, davanti ai quali il genio di Einstein esita, scettico, dacché, seppur suffragata dall’osservazione, la scoperta «stride con tutto ciò che si sapeva al tempo, perché l’energia era considerata qualcosa che varia in maniera continua, e non c’era ragione per trattarla come fosse fatta di mattoncini». Ciò che ne scaturisce ha conseguenze enormi sul modo di pensare la materia e gli atomi che la compongono. Come teorizza Heisenberg, portando avanti la stessa linea di ricerca insieme al danese Bohr, gli elettroni non esistono sempre, ma si materializzano quando vanno a sbattere contro qualcosa: sono i salti quantici, che, e qui sta l’aspetto straordinariamente rivoluzionario, non avvengono in maniera prevedibile, ma per caso.

«Non è possibile prevedere dove un elettrone comparirà di nuovo, ma solo calcolare la probabilità che appaia qui o lì. La probabilità fa capolino nel cuore della fisica, là dove sembrava tutto fosse regolato da leggi precise, univoche e inderogabili». 

Le due teorie «non possono essere entrambe giuste, almeno nella loro forma attuale, perché si contraddicono l’un l’altra» e questa loro inconciliabilità è oggetto di un fervente dibattito tra Einstein e il gruppo di Bohr, ancora oggi non risolto, se non, ipotizza Rovelli, concependo la realtà come interazione (una visione fisica, ma con un’evidente eco filosofica). 

Nella terza lezione, dopo aver spiegato come Einstein abbia rivoluzionato il concetto di spazio e tempo, e di come Bohr abbia dimostrato la natura quantistica della materia, l’autore riassume le diverse rappresentazioni con cui l’uomo ha provato a immaginare l’universo e la sua nascita da Anassimandro a oggi. Il quarto e quinto capitolo descrivono invece come le due teorie di cui sopra sono state applicate allo studio del macro- e del microcosmo. Se nel primo si discutono la consistenza e la nascita dei buchi neri, nel secondo si parla di elettroni, quarks, fotoni e gluoni: le particelle elementari della fisica. Mentre nel sesto capitolo si approfondisce il ruolo che la termodinamica ha dato allo studio del cosmo e la sua nascita. 

Come detto, il settimo è il capitolo meno “fisico” del libro, ma non per questo meno interessante e accattivante. Qui Rovelli si concede riflessioni più personali, che pur affiorano in tutto il testo, testimoni della meraviglia palpabile provata davanti alle grandi sfide irrisolte della disciplina. In particolare si affronta il tema del rapporto dell’uomo con il pianeta, con la scienza e con l’esistenza: 

«Che posto abbiamo noi, esseri umani che percepiscono, decidono, ridono e piangono, in questo grande affresco del mondo che offre la fisica contemporanea? Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, […] noi cosa siamo? Siamo fatti anche noi solo di quanti e particelle? Ma allora da dove viene quella sensazione di esistere singolarmente e in prima persona che prova ciascuno di noi? Allora cosa sono i nostri valori, i nostri sogni, le nostre emozioni, il nostro stesso sapere? Cosa siamo noi, in questo mondo sterminato e rutilante?». 

Sono domande con cui Rovelli solletica la curiosità del lettore, ricordandogli la doppia natura dell’uomo: soggetto che analizza la realtà, che però di quella realtà è parte integrante.

Perché ho gradito particolarmente la lettura di questo libro? È lo stile di Rovelli, mosso da genuino afflato, ma mai retorico, lucido piuttosto, e lineare. Perfetto per i neofiti, non solo per la sua chiarezza, ma anche perché capace, almeno così per me è stato, di rendere accattivante lo studio della fisica teorica. Come ci riesce? Mostrando le ripercussioni che le scoperte della disciplina hanno non solo nella nostra vita quotidiana, ma nel nostro modo di concepire la realtà che ci circonda. E in questo la fisica appare scienza sorella (o forse figlia?) della filosofia

«La scienza, prima di essere esperimenti, misure, matematica, deduzioni rigorose, è soprattutto visioni. La scienza è attività innanzitutto visionaria. Il pensiero scientifico si nutre della capacità di «vedere» le cose in modo diverso da come le vedevamo prima».

È in quel guizzo che risiede la creatività del fisico, e io non me ne ero mai accorta. Grazie Carlo Rovelli!

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6 commenti

  1. […] Venerdì ho invece pubblicato la recensione di un’opera di divulgazione: Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli. L’autore è bravo a coinvolgere il lettore, spiegando la fisica più moderna, senza però perdere di vista il significato generale di quanto scoperto e di quanto c’è ancora da scoprire. Se volete recuperare tutto l’articolo, potete farlo qui: Tra Einstein e Bohr: le sette brevi lezioni di Rovelli […]

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