IL CAFFÈ LETTERARIO DI ZURIGO E «LA PORTA» DI MAGDA SZABÒ (incontro del 12 maggio 2023, Punto de encuentro).

Un romanzo apparso nel 1987, «La porta» di Magda Szabò (1917-2007), ha convinto critica e pubblico di essere di fronte alla più importante scrittrice ungherese del ventesimo secolo. Il successo, meritato, è stato infatti enorme, nonostante l’ostracismo che a suo tempo le avevano riservato i difensori del realismo socialista. Di questo libro si è occupato il ventiquattresimo incontro del Caffè Letterario di Zurigo, con una discussione ampia e appassionata, che ha messo in rilievo i pregi dell’opera della Szabò e qualche difetto. In questa pillola di narrativa di Maresa Schembri è possibile avere un quadro non esauriente ma preciso del libro.
Centrale in tutto il romanzo è la figura di Emerenc, donna complessa, anche contraddittoria. L’autrice ha riportato nel libro una vicenda veramente vissuta: è lei, Magda, la protagonista; Emerenc è a servizio di lei e del marito e sbriga le faccende di casa (il motivo autobiografico arriva fin qui), ma nel romanzo diviene man mano la protagonista delle vicende familiari e, in fondo, della vita stessa della protagonista. Dura ma capace a modo suo di amare (senza cedimenti alla poesia), severa con se stessa e con gli altri, sincera fino alla crudeltà, avversaria di ogni credo, religioso o politico, e di tutto ciò che è “cultura”, Emerenc, con il suo anti-intellettualismo, da un lato è l’alter ego di Magda (sono due solitudini che si incontrano), dall’altro è il suo completamento, capace di colmare le sue lacune, di esprimere apertamente ciò che in lei rimane inespresso. Se ne accorge il cane Viola, che “sente” l’autenticità di Emerenc, il suo carattere dominante e la elegge a sua padrona al posto di Magda.
Grazie all’incipit (parzialmente ripetuto alla fine del testo), il lettore è subito immerso in un’atmosfera tragica oltre che onirica, presago che la morte attende la vera protagonista del romanzo; egli assiste allo scorrere degli avvenimenti in un clima di attesa e curiosità, accresciuto dall’espediente narrativo della porta chiusa dell’appartamento di Emerenc, una porta oltre la quale giacciono i segreti della sua vita, il mistero di un’esistenza segnata dalla tragedia della Storia e dalla cattiveria degli esseri umani, ingrati e poco inclini alla sincerità. Il momento della “prova”, che l’autrice chiama «Intervento» (è il titolo di un capitolo), arriva a sconvolgere la vicenda di Magda e di Emerenc in modo irreversibile: porterà un rimorso irrefrenabile alla prima, la morte alla seconda. Il disvelamento del mistero della porta chiusa, un lembo di vita a cui Emerenc assegnava il carattere della sacralità, costituirà la fine di tutto: di Emerenc, che il lettore saluta nel momento del suo funerale; di Magda, che non riuscirà a consolarsi della perdita con gli onori e il successo, pallidi tributi al suo ingegno letterario, succedanei insufficienti di una vita che possa dirsi veramente vissuta. Basato sulla contrapposizione Magda-Emerenc, il romanzo della Szabò, un tipico romanzo psicologico, sa scavare nell’animo delle due protagoniste, offrendoci un quadro preciso della loro emotività e mostrando, nel caso di Emerenc, quanto conti la frattura tra presente e passato, che la memoria, perseguitandola, continuamente le offre.

Ciò nonostante, secondo alcuni del gruppo, le scelte dell’autrice non sembrano sempre giustificate. Se nella prima metà del romanzo troviamo una sorta di modello indiziario, con ipotesi sempre più stringenti sulla personalità e sul passato di Emerenc, nell’ampia parte finale il carattere della donna si manifesta in modo talmente aperto da cogliere impreparato il lettore, che di lei fino a quel momento aveva per lo più un’idea astratta, una congerie di abduzioni tra loro coerenti ma non esaustive. Mosso a “compassione”, si trova in contraddizione con l’atteggiamento di Emerenc, contraria a ogni eccesso sentimentale, amore compreso, e fa fatica a trovare empatia per il personaggio. E la progressiva “santificazione” della donna (Emerenc era pura, invulnerabile, lei era ciò che tutti noi, i migliori di noi, avremmo voluto essere), che culmina nel suo culto da morta, stride con i messaggi di agnosticismo tipici di Emerenc viva. Pare quasi che il cristianesimo di Magda – personaggio debole di carattere, io narrante e autrice al tempo spesso – imponga un finale che sotto taluni aspetti può sembrare forzato. La spiegazione va forse trovata nell’enorme senso di colpa provocato in Magda dall’esperienza dell’apertura della porta e dalla conseguente perdita della dignità di Emerenc, che poneva il rispetto della dignità al di sopra di ogni valore e della vita stessa. Ma un’altra ipotesi è che Emerenc sia necessaria a Magda per scrivere, tanto è vero che dedica a lei il premio letterario, sicché la sua scomparsa potrebbe rappresentare anche la perdita di quel senso di misericordia che sempre dovrebbe sorreggere un testo letterario (è forse questo il messaggio finale di Magda Szabò?).
E la varietà che caratterizza felicemente le scelte di lingua aiuta nella lettura, ma non può evitare che il romanzo non mostri qualcosa di irrisolto.


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