IN CAMMINO ALLA RICERCA DI LEV N. TOLSTOJ, RECENSIONE DI «LA CONFESSIONE»: PRIMA PARTE (di Vittorio Panicara)

Tutti i massimi autori della letteratura mondiale hanno percorso un itinerario spirituale complesso, a volte sofferto, scandito da momenti di meditazione o di attivismo frenetico, e concentrato sui massimi dilemmi dell’animo umano. Ciò vale soprattutto per Lev N. Tolstoj e il suo rapporto con la religione, narrato in un’opera di feroce sincerità e di inesauribile approfondimento concettuale: «La confessione» (d’ora in poi solo Confessione), pubblicata nel 1884 (se ne consiglia la traduzione di Gianlorenzo Pacini, Universale Economica Feltrinelli, 2000). La materia del piccolo libro, che consta di un centinaio di pagine, potrebbe essere condensata con “storia di una conversione” (ovviamente al cristianesimo). Sarebbe una riduzione corretta, ma anche inadeguata, tanto da lasciare in ombra non solo il rapporto drammatico tra Tolstoj e la fede, ma la genesi stessa della sua imponente produzione letteraria, che in quel rapporto trova la sua ragion d’essere. E se «La confessione» è stata scritta in soli tre anni, dal 1879 al 1882, è pur vero che il testo all’inizio rimanda agli anni della giovinezza, mentre nella seconda metà precorre i motivi e le teorie morali ed estetiche degli ultimi anni. Recensire questa piccola ma preziosa opera significa quindi non soltanto riconoscere il discrimine tra il “primo” e il “secondo” Tolstoj, come si fa spesso, quanto scavare in profondità e cercare di rinvenire quelle radici che hanno trasmesso linfa ai suoi libri.

L’autoperfezionamento

L’incipit non lascia dubbi sul tema dominante dell’intero libro:

Sono stato battezzato ed educato nella religione cristiana ortodossa, il cui insegnamento mi è stato impartito fin dall’infanzia […] ma quando, ormai diciottenne, terminai il secondo anno di università, già non credevo più a nulla di quel che mi era stato insegnato.

L’autore ribadisce il concetto poco dopo, narrando di una “scoperta” già compiuta nel 1838, a soli dieci anni, grazie alle parole di un suo amico più grande: Dio non esiste e ciò che ci viene detto su questo argomento è semplicemente falso. Una perdita della fede di questo genere è ovviamente per Tolstoj soltanto un punto di partenza. Fino a quel momento la sua è stata solo una fede accettata passivamente, qualcosa di esteriore e lontano dall’esistenza di tutti i giorni. Dunque da rifiutare. Ed è da qui che ha inizio l’esame di se stesso e il giudizio morale su di sé e sugli uomini. Al momento Tolstoj si limita ad avere fiducia nell’autoperfezionamento, imparando, studiando, esercitando la forza e la destrezza, e abituandosi alla temperanza e alla resistenza. Una condotta virtuosa in attesa della vera fede.
Lev Nikolàevič Tolstòj, di famiglia rurale nobile, era nato a Jasnaja Poljana il 9 settembre 1828. Già dal 1846 nei suoi diari il giovanissimo Lev, in merito a questa sorta di “autoeducazione” alla perfezione, esprime le sue doti introspettive con una continua autoanalisi, ripetuti propositi di “risanamento” morale e spietati esami di coscienza volti all’espiazione. Egli è cosciente delle contraddizioni in cui si dibatte, conosce la propria natura passionale, sfrenata ed eccessiva, che lo porta a disattendere sistematicamente le regole che lui stesso si è dato. Alla sua ricerca del bene e del suo fondamento si contrappongono nel suo animo ambizione, vanità e dissolutezza.
Questo percorso così conflittuale è testimoniato dalla trilogia di «Infanzia. Adolescenza. Giovinezza», tre libri ampiamente autobiografici, che costituiscono tutti insieme un romanzo di formazione e rappresentano il suo esordio letterario («Infanzia» viene pubblicato nel 1852). In questo ambito autori come Rousseau (soprattutto, ovviamente, con le sue «Confessioni»), Sterne, Puškin e Gogol’ sono un modello perfetto di autobiografia. Del resto, anche i romanzi successivi testimoniano le sue esperienze, come quelle militari dei tre «Racconti di Sebastopoli» (Tolstoj prese parte alla guerra di Crimea come ufficiale di artiglieria nel ’54 e ‘55), in cui mostra la verità sgradevole e ripugnante della guerra, un misto di orrore e vanità (quando non cede all’ammirazione…). O come ne «I Cosacchi», scritto dal ’52 al ’62, racconto lungo ambientato nel Caucaso, dove aveva prestato servizio militare dal ’51 al ’54. Immedesimandosi nel protagonista Olenin, lo scrittore esprime la sua insofferenza per l’appassionata ma angosciosa ricerca di Dio, per fuggire la quale si sforza di vivere la vita con pienezza di sentimenti e d’istinti (cosa che però si dimostra problematica), cercando di tornare alla gran madre natura, un sogno panteista smentito dallo stesso deludente mondo cosacco. Le riflessioni del protagonista sul senso della felicità lo portano a considerare il valore assoluto che può avere una vita dedicata agli altri e alla loro felicità, ma è solo un tenue bagliore nel mezzo di un tunnel che si rivelerà lunghissimo. I testi narrativi del giovane Tolstoj, in effetti, confermano le sue incertezze in materia di fede e mostrano quanto la sua ricerca della verità fosse solo agli albori.
La Confessione rivela l’insoddisfazione nei confronti delle sue scelte di allora, compresa quella di scrivere, a cui attribuisce come veri scopi la vanagloria, l’interesse e l’orgoglio. L’autocritica lo porta a condannare tutti gli artisti e i poeti, persone immorali e prive di carattere. Il loro comportamento gli ricorda quello dei folli di un manicomio. Stando alle pagine della Confessione, neppure il matrimonio con la diciottenne Sof’ja Andrèevna (1862) e i frequenti viaggi all’estero, soprattutto in Europa, dove conosce importanti scienziati e molte personalità progressiste, lo convincono della possibilità di un vero e proprio autonomo perfezionamento progressivo degli uomini. La vita in famiglia, abbandonati gli impegni mondani e quelli letterari, e la fede nel cosiddetto progresso non gli danno le risposte necessarie a comprendere il senso della vita e a intraprendere la via del bene. Comunque, l’interesse per l’istruzione popolare e il contatto con la vita contadina innescano una particolare sensibilità verso le ingiustizie sociali e gli consentono un attivismo riformatore che non verrà mai meno; apre a Jasnaja Poljana una scuola per i figli dei contadini, fondata sulla piena libertà degli allievi.

La crisi.

Ma le domande senza risposta – perché vivere, perché desiderare, perché fare qualcosa? –  sono una grossa macchia nera indelebile, la sfiducia nel progresso cresce e la vita è assurda. La vita di Tolstoj vista dall’esterno sembrerebbe felice: è forte fisicamente e spiritualmente; ama la moglie ed è riamato da lei e dai suoi figli; la sua situazione patrimoniale è invidiabile; è famoso e apprezzato da tutti. Ma nonostante tutto la vita gli pare uno scherzo stupido e malvagio giocatogli da qualcuno, uno scherzo che lo ha gettato in un abisso: la vita non è altro che nulla e non contiene nulla di razionale. Queste tetre meditazioni tendenti al nichilismo proseguono finché si affaccia uno spettro, quello del suicidio, ma non senza contraddizioni:

Tendevo con tutte le mie forze a staccarmi dalla vita, e l’idea del suicidio divenne per me così naturale come lo era stata un tempo quella del perfezionamento della vita. […] Io stesso non sapevo quel che volevo: da una parte avevo paura della vita e aspiravo a liberarmene, dall’altra riponevo ancora qualche speranza in essa.

La vita con le sue false gioie è un inganno che permette agli uomini di attenuare l’orrore del drago della morte. L’amore per la famiglia, per le lettere e per l’arte finora lo ha salvato, ma a questo punto della sua vita Tolstoj è talmente disilluso da vedere con terrore l’unica verità della vita nella stessa morte. Ma una domanda lo fa esitare, giunto sull’orlo del suicidio: perché tanti uomini non condividono questa sua disperazione? Cosa li regge in vita? Forse il sapere, con le scienze sperimentali e le scienze speculative? Ma dalla matematica alla metafisica, dalle scienze naturali alla psicologia, possiamo attenderci soltanto la soluzione di questioni specialistiche: ai problemi sul senso della vita non c’è risposta. La stessa filosofia (Tolstoj cita esplicitamente Socrate, Schopenhauer, Salomone, Budda) propone e definisce domande, ma non dà risposte. No, non saranno i sapienti a darci le risposte al vero problema della vita. E la disperazione si aggrava.
L’autore passa allora a esaminare e definire i tipi di reazione che gli uomini simili a lui per cultura e modo di vivere generalmente hanno di fronte all’impossibilità di dare un senso alla vita: l’ignoranza, l’edonismo (o epicureismo, che per lui è una forma di ottusità morale), l’esercizio della forza e dell’energia (gli aspiranti suicidi, in costante aumento) e la debolezza (è la situazione dello stesso Tolstoj, che più che vivere la vita la sta trascinando avanti con la forza d’inerzia). E aggiunge l’autore: se la vita l’ha creata la ragione, visto che è assurda e non esiste un’istanza superiore che la giustifichi, come mai la ragione nega la vita, pur avendola creata? Non solo, ma gli uomini delle varie epoche hanno riconosciuto un senso alla vita e l’hanno portata avanti. E torna a chiedersi come è potuto accadere. Si convince che l’intelligenza lo ha portato a un orgoglio che gli uomini comuni non possono avere. E riaffiora a questo punto l’amore di Tolstoj per l’autentico popolo lavoratore. La gente del popolo rifiuta l’ipotesi che la vita non abbia significato sulla base di una conoscenza a lui ignota: Dunque l’umanità intera possedeva una conoscenza che io avevo negato e disprezzato, ma quale? Doveva trattarsi di una conoscenza non razionale: la fede stessa.
Nonostante queste riflessioni, che lo accompagnano durante gli anni Sessanta e Settanta e rappresentano il rovello della sua coscienza, Tolstoj non rinuncia a scrivere, trovando in esse uno stimolo ulteriore per la sua ricerca e la sua espressione artistica. Sono gli anni di «Guerra e pace» e di «Anna Karenina»…

Continua con la seconda e ultima parte.

3 commenti

  1. […] Lunedì è uscita la seconda e ultima parte della recensione di Vittorio Panicara dedicata a La confessione di Tolstoj. La potete recuperare ciccando qui: IN CAMMINO ALLA RICERCA DI LEV N. TOLSTOJ, RECENSIONE DI «LA CONFESSIONE»: SECONDA E ULTIMA PARTE . Qui invece trovate la prima parte: IN CAMMINO ALLA RICERCA DI LEV N. TOLSTOJ, RECENSIONE DI «LA CONFESSIONE»: PRIMA PARTE . […]

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