Scrittori del Settecento: le mie pagelle

di Gerardo Passannante

Prisma ambiguo e multiforme quello del romanzo settecentesco. Ci si aspetterebbe, nel secolo dei lumi, semplicità d’espressione, denuncia sociale e satira politica, per il decoro della ragione, come nella letteratura filosofica. E invece la narrativa propone un pullulare di fanciulle perseguitate, trovatelli sfigati ma intraprendenti, sconsiderati istigatori del maligno, travolgenti follie sentimentali, monaci dal torbido profilo, e una lunga serie di colpi di scena. E il raziocinio impazzisce dietro peripezie di inverosimili bizzarrie di fluviali narrazioni epistolari, prima che le acque si intorbidino, tra dirupi ossianici e notturni bagliori gotici, nelle inquietudini preromantiche. Come si vedrà, l’Italia è latitante. Ma se inglesi e francesi la fanno da padroni, è la Germania a produrre il genio più grande.

Per sapere come nasce questa rubrica ☛ Le mie pagelle letterarie
Per leggere la scorsa puntata ☛ Poeti del ‘700: le mie pagelle


  • Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) – I dolori del giovane Werther (1774)
    ★★★★★★★★★★
    Anche se buona parte del Wilhelm Meister fu composta prima dello scadere del secolo, per la sua lunga vicenda compositiva ed editoriale lo rinvio all’800. Qui mi limiterò al capolavoro giovanile del Werther. Nella sua brevità già nucleo tra equilibrio razionale e squassamento passionale, questo primo romanzo fruttò d’un colpo all’autore celebrità e immortalità. Pur inserendo la vicenda in una cornice dal vago sapore panteistico, Goethe dà non solo una descrizione vivida dei costumi del tempo, ma analizzando acutamente le gradazioni psicologiche dell’idillio amoroso, con commossa adesione lo studia dal fervore iniziale al dramma. Lo lessi la prima volta a quindici anni, e ne rimasi tanto frastornato da imporlo subito a un mio amico con una rilettura a voce alta, in un’unica seduta, interrotta solo dai bisogni fisiologici… 

  • Daniel Defoe (1660-1731) – Robinson Crusoe (1719), Moll Flanders (1722), Lady Roxana (1724)
    ★★★★★★★★★☆
    Che si tratti di una giovanissima ladra sedotta come Moll Flanders, o di un naufrago che riesce a sopravvivere per 28 anni su un’isola deserta, o di una Lady abbandonata nella miseria con 5 figli, sempre Defoe inonda l’esperienza vissuta di considerazioni moralistiche. E ciò è molto strano, se si considera quanto i suoi principi puritani contrastassero con la condotta non proprio irreprensibile di questo pennaiolo per lucro, nei cui libri vistosa è la presenza di contraddizioni, anacronismi e incongruenze psicologiche. Peccati però veniali, direi, riscattati come sono da uno stile che, se non indulge ad analisi psicologiche, ingrandisce particolari solo apparentemente insignificanti ma invece funzionali, aprendo la pista al romanzo poliziesco.

  • Henry Fielding (1707-54) – Tom Jones (1749)
    ★★★★★★★★★☆
    Se si proponeva di fare la parodia di certo “buonismo” di Richardson, Fielding si spinge però oltre, condannando con tagliente intelletto l’ipocrisia sociale. Così, in Tom Jones, il trovatello allevato insieme al fratellastro che lo avversa e lo spinge in disgrazia, la sventura è aureolata da un esubero di scene farsesche, risse di osteria e baruffe, da cui esce sempre fortunosamente indenne. È che, privilegiando l’istinto sulla virtù, Fielding immerge i frangenti rocamboleschi in una garbata aura di pietismo sentimentale, per denunciare i mali sociali come miserandi disguidi della legge umana. E immagino che non ci sia donzella o maritata che non provi tenerezza per quel simpatico, scanzonato, e benché sfigato irresisitibile Tom.

  • Pierre-Ambroise Choderlos de Laclos (1741- 1803) – I legami pericolosi (1782)
    ★★★★★★★★★☆
    Nell’imminenza della Rivoluzione, Laclos pubblicò questo romanzo epistolare, in cui un cinico seduttore, che ha deciso di conquistare un’austera dama, confida il suo progetto all’ex amante, che con astuti consigli ne guida a distanza le manovre. E in una prosa impietosa rappresenta con lucidità la “miseria” dei suoi cinici libertini: che una volta liberatisi delle fantasticherie adolescenziali scelgono freddamente le vittime, compiacendosi di saper leggere nel libro della vita che l’amore è un gioco spietato, in cui ognuno favorisce solo se stesso.  Difficile dare torto all’autore, ma difficile anche empatizzare con personaggi che snocciolano così indigeste verità.

  • Samuel Richardson (1689-1761)Pamela (1741)
    ★★★★★★★★★☆
    Attraverso le lettere scritte da una vergine perseguitata, Richardson intendeva valorizzare i principi della virtù e della religione. Ma se il suo desiderio era di estendere le lezioni morali alle giovani di classe sociale elevata, per metterle in guardia contro i seduttori, lo fa in uno stile prolisso e zeppo di lungaggini, a cui tuttavia non manca un fondo sensuale e torbido, che lascia trapelare, accanto alla filosofia materialistica, fini tratti di psicologia. Pubblicato anonimo, col suo successo strepitoso Pamela mise in voga l’argomento della virtù insediata, che avrebbe avuto sviluppi in Diderot, Rousseau, Laclos, e persino in Goldoni, che ne trasse una commedia. Nonf credo invece che esista una traduzione completa in italiano della Clarisse, tanto citata e poco letta, per le spaventose dimensioni che ne fanno forse il più lungo romanzo della letteratura ingliese.

  • Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) – La nuova eloisa (1761)
    ★★★★★★★★★☆
    Altro fluviale romanzo, dal cui titolo è facile intuire la vicenda. Solo che qui non è la passione cieca a dettare legge, perché i protagonisti antepongono il dovere al trasporto, e il loro genuino sentimento è frenato da ipocrite convenzioni sociali. Questo non gli impedisce di essere figure vive, foss’anche nella gioia di abbandonarsi all’unico sogno attraverso cui possono realizzarsi, nella corrispondenza del proprio sentimento con l’intima armonia della natura. Le cui descrizioni sono interminabili, ma a immergervisi lasciano un notevole senso di pace.

  • Laurence Sterne (1713-68) Vita e opinioni di Tristam Shandy (1760-7)
    ★★★★★★★★★☆
    Malgrado la distribuzione in 9 volumi, questo romanzo si interrompe quando il protagonista è ancora un fanciullo. Il fatto è che, sentendosi svincolato dalla sequenza temporale e da convenzionali regole narrative, accantonando il filo primario del racconto, Sterne accoglie dei pittori fiamminghi la tecnica di confinare il soggetto principale sullo sfondo, per porre in primo piano vivande e servette. Inevitabile allora che la trama si sgrani nel reticolato decentralizzato, dove molti episodi sono solo digressioni su argomenti disparati. Ma proprio qui, superato lo sbandamento iniziale, il lettore scopre l’originalità del romanzo: che sulle peripezie così care ai suoi contemporanei privilegia aneddoti grassocci, capricci, bizzarrie e svolazzi, per il puro gusto di narrare. Joyce se ne ricorderà un secolo e mezzo dopo, e anche il mio Declino viaggia periolosamente sulla stessa strada…

  • Jonathan Swift (1667-1745) – I viaggi di Gulliver (1726)
    ★★★★★★★★★☆
    Questo classico della narritiva infantile, che per generazioni ci si è ostinati a regalare ai virgulti umani, in realtà è puro esplosivo. Tutti sanno dei 4 viaggi del medico Samuel Gulliver, il primo dei quali lo porta nell’isola dove la sua statura giganteggia sui minuscoli lillipuziani. I rapporti poi si invertono nel secondo viaggio, quando si ritrova nanerottolo, ninnolo, balocco e trastullo per figlia del re. Già nella terza parte si incominciano a intravedere le intenzioni dell’autore, che inizia a svolgere la sua satira contro filosofi, storici e inventori, per sottolinearne i vizi e le meschinità. Ma è nella quarta che quest’opera cupa e possente si erge a spietato atto d’accusa alla perniciosa razza umana, nutrita di vanità e stoltezza, e fin dall’origine tarata da malvagità, egoismo e crudeltà. Col tale libro o si ride o ci si impicca. 

  • Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814) – Paolo e Virginia (1788)
    ★★★★★★★★
    Storia di due giovani cresciuti sull’isola Mauritius, che si amano fin dall’infanzia, e lontano dai pregiudizi e dagli artifici della civiltà vivono felici e innocenti, fin quando una dispotica e ricca zia chiama Virginia in Francia per darle un’educazione civile, gettando così le premesse per la tragedia. Grazie al suo enorme successo, questo semplice e armonico idillio sbocciato su uno sfondo lussureggiante e incontaminato, inaugurò il gusto per paesi esotici e il mito dei paradisi tropicali. Ci spesi qualche lacrima anch’io, da ragazzo, mica solo Gozzano…

  • Denis Diderot (1713-84) – Il nipote di Rameau (postumo)
    ★★★★★★★★
    In forma dialogata l’autore narra l’incontro col nipote del celebre musicista Rameau, che si lascia andare a paradossi e critiche contro l’immobilismo e il tradizionalismo. Si tratta di un parassita che “réduisait à la mastication tous les prodiges de la valeur, toutes les opérations du génie”, e che pertanto, malgrado la nobile ascendenza, non è riuscito a fare nulla di valido. Anche se in mezzo ai suoi vizi ha conservato l’amore per l’arte, e l’acquisizione che solo nel fare il bene l’uomo trova stima e soddisfazione. Ammetto di avere una preferenza per La monaca, ma questo romanzo forse illustra meglio la concezione di Diderot.

  • Alain-René Lesage (1668- 1747) – Il diavolo zoppo (1726)
    ★★★★★★★★
    Pur riprendendo da Guevara la vicenda del giovane che libera da una fiala il diavolo Asmodeo, Lesage sposta la cornice spagnola a Parigi, per scoperchiarne i tetti e vedere cosa vi accade all’interno. E lo fa con quadri vividi, anche se spesso staccati tra loro da novelle o prolisse digressioni sulla varietà di costumi. Ne viene fuori un’opera spiritosa, curiosamente aliena dall’impegno dei colleghi coevi, che dalla stravaganza della realtà trae la morale che la vita è un alternarsi di bene e di male, e non c’è dunque ragione di disperare… Ne sapeva ben qualcosa Talleyrand, a cui il nomignolo fu poi affibbiato, et pour cause...

  • Montesquieu (1689-1755) – Lettere persiane (1721)
    ★★★★★★★★
    Romanzo diversamente epistolare, perché la corrispondenza è spedita da due persiani immaginari ai loro amici orientali, per criticare le bizzarrie della civiltà europea, immersa in mille futilità, dal tempo libero ai caffè,  dalla vanità dei cortigiani alla civetteria delle donne, dall’ignoranza all’arroganza dei magistrati. Una satira che non risparmia nemmeno istituzioni il sistema finanziario e la monarchia assoluta, prima di vertere sul divorzio, la schiavitù, la democrazia, la demografia, le mode politiche e letterarie, l’autorità della chiesa e i privilegi della nobiltà. Ed è così che l’autore assetato di giustizia fa un’appassionata apologia della libertà. Avevo sempre creduto che si trattasse di un pamphlet, finché non lo presi in mano, scoprendo che era un romanzo.

  • Voltaire (1694-1778)Candido (1759)
    ★★★★★★★★
    Accanto alle opere più seriose, Voltaire scrisse 25 racconti in uno stile vario e senza unità strutturale, collegati solo da intenti critici verso la religione, la morale o la vita sociale. Accanto a Migromega e Zadig, il più famoso è certamente Candido, dal nome del credulo allievo di Pangloss, che gli ha inculcato che questo è il migliore dei mondi possibili. Costretto però, dopo sconvolgenti peripezie, a continue smentite di quella bontà, Candido acquisisce la spicciola saggezza che lavorare senza pensare sia l’unico modo per rendere sopportabile la vita, e si ritira a coltivare il suo orticello… Così, in una scrittura disinvolta e rapida, con sferzante polemica, Voltaire stigmatizza la stupidità umana, fatta di fanatismo, errori e ingiustizie, e irride l’ottimismo metafisico leibniziano.

  • Oliver Goldsmith (1730-1774) – Il vicario di Wakefield (1766)
    ★★★★★★★☆☆
    Altro caso di vergine molestata dal seduttore, che attraverso molteplici traversie descritte con tratti umoristici, assiste infine al trionfo della virtù. Se nelle intenzioni voleva essere una sintesi delle casistiche dei grandi romanzi precedenti (la donzella perseguitata di Richardson, la fissità puritana di Defoe, l’ironia di Sterne) più che satira delle svenevolezze il romanzo cede agli atteggiamenti che avrebbe voluto irridere, tradendo un andamento piuttosto didattico. E come una grande egloga domestica insegna che la vita va accettata con sorridente rassegnazione, e noncuranza verso i colpi della sorte ballerina. Ne posseggo cara edizione nei librettini della prima, benemerita BUR.

  • Pierre de Marivaux (1688-1763) – La vita di Marianna (1737)
    ★★★★★★★☆☆
    Il romanzo narra la vicenda di due giovani che, attraverso una serie di avventure, raggiungono una buona condizione, pur senza avere doti eccezionali oltre agli onesti caratteri. Ciò che interesssa però l’autore, più dell’intrigo, è l’analisi dei sentimenti, e specialmente l’amore, condotta con grande finezza. Ché se anche si preoccupa della verosimiglianza dei costumi delle diverse classi sociali, dell’ambiente e dell’influenza che esso esercita sui personaggi, Marivaux punta soprattutto all’analisi, tutta moderna, che essi fanno di se stessi. Me ne occuperò ancora parlando del suo teatro.

  • Antoine-Francois Prevost (1697-1763) – Manon Lescaut (1731)
    ★★★★★★★☆☆
    Racconto breve ma complesso di una passione fatta di degradazione e sofferenza, che fatalmente travolge le sue vittime. Nessuno dei protagonisti sa trarne gioia, perché nessuno ama come vorrebbe. Se Des Grieux è fedele fino al sacrificio, Manon è mutevole e vana, ambiziosa e incapace di valutare tanta dedizione. Finché la purificazione non avviene attraverso il dolore. Goethe ammirò profondamente questo libretto. Massenet e Puccini lo hanno inondato di musica struggente, con qualche mia preferenza per il secondo

  • Christoph Martin Wieland (1733-1813) – Agatone (1794)
    ★★★★★★★☆☆
    Questo romanzo filosofico, impostato sul dialogo tra Agatone e Archita, è la storia di un’anima vissuta nella raffinata civiltà greca antica. Educato ai principi mistici dell’orfismo, e poi approdato all’idealismo platonico, quando viene travolto dall’amore carnale Agatone sembra smarrire la rotta, finché Archita non gli insegna a rimanere fedele ai propri principi. E che, consapevole della lotta tra l’ideale e la vita concreta, l’uomo, senza ignorare la sua natura governata da leggi naturali, deve sforzarsi di arginare con la ragione l’eccesso mistico, poetico e sensuale. Notevole anche il romanzo Gli abderiti, che doveva rinverdire l’atomismo in Germania.

  • William Beckford (1759-1844) – Wathek (1787)
    ★★★★★★☆☆
    Scritto, a detta dell’autore, in tre giorni e due notti, sotto veste orientale e araba, il romanzo narra di un califfo che si consacra allo spirito del male, per ottenere onnipotenza. Ma quando si innamora di una ragazza, e per seguirla si immerge in un crescendo soprannaturale, giunge a perdere il più grande dono del cielo, ossia la speranza. Per stranezza di fantasia, ma anche per i suoi pregi stlistici, questo libricino di puro esotismo che si legge in due ore fu la bibbia di Byron.

  • Nikolaij Karamzin (1766-1826) – La povera lisa (1792)
    ★★★★★★☆☆
    Il soggetto del primo racconto della letteratura russa, parzialmente ispirato alla Clarissa di Richardson, attinge alla vita del popolo per narrare l’amore di una contadinotta per un nobiluccio locale. Benché costruito in maniera convenzionale, l’opera ebbe un successo enorme per la semplicità delle descrzioni della natura, anche se il suo valore rimane soprattutto storico, come timido bagliore della grande narrativa russa da venire.

  • Matthew Lewis (1775-1818) – Il monaco (1796)
    ★★★★★★☆☆
    Sulla scia del terrore inaugurata da Ann Radcliffe, Lewis imbastice la storia truce e pruriginosa di un monaco invaghito di una penitente, che per ottenerla stringe un patto col diavolo. Quindi, attraverso travestimenti, magia, delitti, inquisizioni, condanne, mescola elementi sanguinosi e osceni, e sciorina una quantità incredibile di bizzarrie inverosimili. Il tutto condito della torbida sensualità che avrebbe alimentato il romanzo gotico dal Melmoth di Maturin al Frankenstein di Mary Shelley. Ma sfido chiunque a scrivere a vent’anni una cosa così.

  • Ann Radcliffe (1764-1823)L’italiano, o il confessionale dei penitenti neri (1797)
    ★★★★★★☆☆
    Rientrando di straforo nel secolo, si tratta del romanzo che, insieme ai Misteri di Udolpho, la rese madrina del romanzo nero. Anch’esso tratta di una fanciulla perseguitata da un losco individuo, ora monaco ma dal passato oscuro. Tra espisodi sorprendenti, carceri dell’inquisizione, pugnali avvelenati, agnizioni melodrammatiche, tutti gli ingredienti sono presenti per fare di questo personaggio il prototipo luciferino che avrà lunga fortuna nel secolo successivo. Nel ‘700 Ann Radcliffe è l’unica donna di rilievo. Ma nel prossimo secolo starà in ottima compagnia.

  • Donatien-Alphonse de Sade (1740-1814) Justine o gli inforuni della virtù (1791)
    ★★★★★★☆☆
    Nelle sue numerose opere, scritte per la maggior parte in prigione, Sade non smette di dirci quanto il mondo subisca l’imperio del male. Non che ne sia responsabile per forza Satana, visto che anche l’uomo ci mette abbondantemente lo zampino, se la sofferenza degli altri gli procura indifferenza, o addirittura piacere “sadico”. Eppure, questo cinico spregiudicato, che dà una rappresentazione delle turpitudini con notevole forza espressiva, la estende talvolta anche a delicate figure adolescenti. Nutriva comunque già abbastanza disgusto per l’umanità, senza che Pasolini se ne ispirasse per un film inguardabile.

  • Tobias Smollett (1721-71)Humphrey Clinker (1771)
    ★★★★★★☆☆
    Ancora un romanzo epistolare, dove si narra la vicenda di una famiglia in viaggio per l’Inghilterra, i cui membri immaginano di essere gli autori delle lettere che costituiscono il libro. Questa insolita trovata si nutre delle impressioni che hanno sui costumi e sui luoghi, e delle vivaci ma un po’ scontate tipologie, fatte di caratteri convenzionali come il burbero benefico, la fanciulla affettuosa e romantica, la zitella civettuola. Compreso il logoro espediente dell’agnizione del trovatello… Nulla più che carino e garbato.

  • Horace Walpole (1717-97) – Il castello d’Otranto (1764)
    ★★★★★★☆☆
    L’azione medievaleggiante si svolge nel castello della città, il cui signore vive sotto l’incubo di una cupa profezia. Che puntualmente si annuncia con l’apparizione di una gigantesca mano inguantata nel cortile. Da qui si mettono in moto colpi di scena terrificanti, ma allineati in maniera meccanica e scollegata, e in una prosa neutra che smorza suggestione e suspense. Fu il primo romanzo gotico che lessi, col rischio, per fortuna sventato, di lasciarmene scoraggiare.

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