Teatro del ‘700: le mie pagelle (1/2)

di Gerardo Passannante

Avendo quasi tutti questi autori scritto più di un’opera teatrale, sceglierò solo quelle mi sembrano più riuscite o che comunque ho amato di più.
Per il ‘700, come per il secolo successivo, terrò anche conto del contributo che diedero al melodramma, sia che gli autori scrivessero direttamente per la musica e sia che dai loro lavori si traessero poi dei libretti d’opera. Di questi mi occuperò nella seconda parte.

Per sapere come nasce questa rubrica ☛ Le mie pagelle letterarie
Per leggere la prima puntata ☛ Poeti del ‘700: le mie pagelle
Per leggere la seconda puntata ☛ Scrittori del Settecento: le mie pagelle


Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) – Urfaust (1774-5)
★★★★★★★★★★
Il teatro settecentesco di Goethe presenta diversi capolavori, tra cui anche il torso dell’Urfaust. Si tratta del primo abbozzo dell’immane lavoro di una vita che sarà il Faust, terminato solo pochi mesi prima della sua morte, e di cui mi occuperò pertanto nel teatro dell’800. Il fatto è che in questo primo gruppo di scene che vanno sotto il titolo di Urfaust, composte intorno al 1775 e dunque negli anni in cui Goethe componeva il Werther e partecipava ai bollori dello Sturm und Drang, il poeta aveva già raggiunto alcuni degli esiti più alti della sua poesia, tanto che sarebbero passate quasi inalterate nel testo definitivo, e che basterebbero da sole a decretarne la gloria. Non sorprenda dunque se di questa opera prematura io conosca molti versi a memoria in tedesco.


Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) – Ifigenia in Tauride (1787)
★★★★★★★★★★
Quando, al rientro dal viaggio in Italia, Goethe lesse questo testo a Weimar, gli amici rimasero delusi, ritrovandovi invece della foga del Göetz una composta aura di classicità. Ma si sbagliavano. L’autore era sì passato dai furori shakespeariani alla dolente calma di Euripide, ma non aveva rimosso le passioni, che del dramma costituiscono il sostrato. I personaggi conoscono lo sconquasso delle sciagure che hanno alle spalle, di cui sono stati vittime o esecutori, e senza scordarle per un momento ognuno alimenta le idre del cuore. Ma l’irruenza delle passioni è dall’autore sollevata a una superiore acquisizione dell’inevitabilità della tragedia espiata e ricomposta. La serenità olimpica non è raggiunta senza sforzo, ma solo grazie all’intercessione di una donna superiore (forse per influsso della Von Stein). E come avverrà nel Faust con Margherita, il compito di Ifigenia, proprio perché essa stessa conosce il rigore sacrificale, è di insegnare a sollevarsi dalla sventura personale a una più generosa adesione al destino comune.


Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) – Tasso (1790)
★★★★★★★★★★
Terminato in versi dopo il soggiorno romano di Goethe, quando fu rappresentato a Weimar anche il Tasso ebbe solo un successo moderato, certamente dovuto al suo carattere eminentemente psicologico, senza morti e lutti, in cui si rifletteva l’evoluzione del poeta dal titanismo ribelle verso la compostezza della rinuncia. Ideato già nella temperie dello Sturm und Drang, sarebbe stato facile schiacciare il pedale della rivolta e dell’incomprensione dell’artista contro un mondo ottuso e arido. Questo contrasto tra l’animo del poeta e la realtà esteriore beninteso persiste, ma si nobilita in una forte maturazione spirituale, per cui il “genio incompreso” riconosce di dover sacrificare la passione alla ragione, e misurare il proprio idealismo assoluto col cozzo della realtà. La tragedia intima del dramma non è inferiore allo sconforto del Werther, ma Goethe scioglie nel Tasso l’elegia funebre alla sua giovinezza, ricomposta nel compromesso tra poesia e realtà, fra titanismo e legge morale.


Carlo Goldoni (1707-1793) – I Rusteghi (1760)
★★★★★★★★★★
Questo capolavoro di Goldoni, composto in dialetto veneziano, contiene alcune scene tra le più belle del teatro comico di ogni tempo. In esso si fondono perfettamente i due motivi fondamentali che provocano la vicenda: quello decrepito e ligio a certa tradizione nobiliare, e quello del vivace mondo femminile sensato e pettegolo, che folleggia per il carnevale, contro i barbagianni che vorrebbero ignorarlo, presagendo gli ultimi sussulti dei loro “valori”. Attraverso quattro “rusteghi”, rudi brontoloni e conservatori, Goldoni supera così la commedia di carattere per creare un nuovo clima, perché, più che insistere sui motivi propri di figure bizzarre, o sul chiacchierio femminile, fa cozzare l’atmosfera greve di una tradizione ritualizzata ma impotente con l’apparentemente sottomesso ma inquieto dinamismo femminile, fatto di estro e sussurri ribelli. Nel 2011, traducendola devotamente in italiano, e spalmando i nomi dei personaggi sui cognomi degli attori, la misi in scena con i miei studenti liceali, con colonna sonora vivaldiana, e ne venne fuori una cosuccia molto carina…


Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) – Nathan il saggio (1779)
★★★★★★★★★★
Si tratta dell’ultimo e più complesso dramma di Lessing, scritto in pentametri giambici, che dopo di lui doveva diventare il verso della tragedia classica tedesca, a cui si attenne nell’Ifigenia lo stesso Goethe, che giudicò questo dramma una delle cose più alte che l’umanità abbia creato. L’azione, che si svolge a Gerusalemme durante la terza crociata (ma di bruciante attualità), si svolge nell’arco di poche ore, visto che Lessing rispetta le famose unità aristoteliche. Ma pur costringendo il deismo inglese con la tradizione teologica tedesca nel rigore spazio-temporale, l’autore vi svolge un’appassionata difesa della tolleranza religiosa. Per rispondere inoltre alla questione di quale delle tre fedi monoteistiche debba essere considerata la più vera, non esita ad accogliere la parabola dei tre anelli della terza novella della prima giornata del Decamerone. Grazie alla quale, con un vivo senso di umanità e fratellanza, sposta il problema oltre ogni dialettica, e addita la fusione armoniosa di razionalità e sentimento, come approdo ideale dello spirito illuministico.


Friedrich Schiller (1759- 1803) – Don Carlos (1787)
★★★★★★★★★★
Questo dramma di Schiller fu il primo ad essere composto interamente in versi, e quello che, dopo una lunga fase di gestazione ed elaborazione, lo accompagnò fino alla morte. In effetti, senza rinnegare il “furore” delle opere giovanili, ed evolvendo sempre più al classicismo, stese un’opera di insolita ampiezza. Forse anche per l’altissimo sodalizio con Goethe, alla passione travolgente dello Sturm und Drang subentrò uno spostamento di meditazione dalla passione individuale alla libertà di un popolo. Così l’amore di Don Carlos per la matrigna, che era il primo motivo ispiratore, virò durante la composizione verso l’ideale politico rappresentato dal Marchese di Posa, nobile figura che si sacrifica per la libertà. Ma tutti i personaggi sono diversamente tormentati e infelici, compreso il dispotico Filippo, chiuso nel suo disperato e ottuso isolamento. Il fatto è che Schiller immette nel dramma una tale abbondanza di motivi, che spiegano perché più tardi Verdi (che già si era ispirato a Schiller per opere precedenti), riversasse poi nel suo Don Carlos una così impressionante quantità e qualità di musica.


Vittorio Alfieri (1749-1803) – Saul (1782)
★★★★★★★★★☆
Nella sua più complessa e compiuta tragedia, Alfieri ci presenta un tiranno sì dominato dalla brama di dominio, ma che nello stesso tempo conserva un senso personale di umanità e nobiltà di carattere. Di fatto Saul ama il suo popolo, i suoi nati, e lo stesso David, che ha scelto come sposo della figlia. Ma la brama di potere si fa in lui sempre più esclusiva e intollerante, quando, avvertendo l’ora della decadenza, inizia a sospettare di tutti quelli che lo circondano, e contrasta in David il rivale felice, sicuro di sé come egli è stato un giorno, e come ora sente di non essere più. Da qui la testarda volontà di riaffermare il suo volere, anche a costo di mostrarsi crudele, in gesti incoerenti che rivelano la grandezza e la miseria di chi sente la vita fuggire tra le macerie di un’esistenza mendace.


Vittorio Alfieri (1749-1803) – Filippo (1775)
★★★★★★★★★☆
Uno dei motivi più frequenti nella ventina di tragedie dell’Alfieri è quello dell’individuo che, ossessionato dalla brama di dominio, paranoicamente, come Saul, si sente impaniato in una tela di sospetti, a cui non trova altro rimedio che la crudeltà. Così Filippo, rendendosi conto di avere di fronte la nobile volontà del figlio Carlo, lo odia e teme, finché la scoperta del suo amore combattuto per la matrigna, un giorno a lui promessa, scatena su loro la sua contorta giustizia. Senza per questo abolire il timore di nuovi delitti, che lo immerge in una atmosfera da incubo. Sono convinto che Verdi, pure attenendosi per il suo Don Carlos al libretto di Schiller, tenne presente anche questa cupa immagine del Filippo di Alfieri, facendone un personaggio ancora più tormentato nel suo sconsolato carcere mentale, gemendo che “ella giammai m’amò”.


Vittorio Alfieri (1749-1803) – Mirra (1784-86)
★★★★★★★★★☆
La colpa a cui Mirra soggiace è di non saper contrapporre un altro amore a quello impuro che cova in silenzio, e che non potendo comunicare a nessuno la mura in una solitudine senza sfogo per la coscienza inorridita. Non voglio nemmeno pensare cosa ne farebbe un pornografico autorucolo dei nostri giorni: ma so che Alfieri stende sulla tragedia una spessa dose di pudore, e privando la protagonista di ogni possibilità di conforto, ne mura in un tormento alto e muto il terribile segreto. Così, senza difesa, il dramma di Mirra è un puro grido di orrore, nemmeno aureolato dall’eroismo del sacrificio, né lenito dalla consapevolezza che la difesa è inutile quanto la morte stessa.


Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) – Egmont (1787)
★★★★★★★★★☆
Svolgendosi l’azione su tre piani paralleli, su cui si alternano popolo, idillio e politica, l’entrata in scena dei protagonisti è così preparata, che quando compaiono il pubblico li ha già individuati. La rivolta nei Paesi Bassi contro la Spagna di Filippo II fa da sfondo storico al protagonista che sprizza nostalgia di vita, e che, sacrificandosi per la libertà per cui ha sempre lottato, assurge a simbolo di fratellanza spirituale. Sebbene vi risuoni ancora lo spirito dello Sturm und Drang, esso se ne stacca soprattutto nell’ultimo atto, per il lirismo con cui il poeta si colloca accanto al suo eroe, e che invece di nuocere al dramma, conferisce al protagonista un risalto che lo solleva sugli altri personaggi, chiusi nella loro storica limitatezza. E così, titanicamente, lo interpretò Beethoven nella sua omonima Ouverture del 1810.


Carlo Goldoni (1707-1793) – La locandiera (1753)
★★★★★★★★★☆
Benché si tratti forse della più famosa commedia goldoniana, non la considero la più riuscita, anche se resta una delle più argute. La storia presenta due nobilucci che si contendono il cuore di Mirandolina tra gelosie, liti e situazioni comiche, finché lei stessa, dopo essersi divertita a prenderli per i fondelli, non rivela il suo gioco accordando la mano al cameriere Fabrizio. Nel contrasto tra i tronfi caratteri dei pretendenti e l’astuta ragazza del popolo (un po’ l’equivalente femminile del Figaro francese), trionfa la femminilità, a spiegare il successo di una commedia a cui lo stesso Goldoni non sembrava dare molta importanza. In effetti La locandiera, più che annunciare nuovi valori, ne rielabora di antichi. I personaggi hanno tutti dei precedenti in modelli francesi o inglesi: ma Goldoni ha dotato la sua eroina di un tale torrente di brio, spudoratezza e canzonatura, da sottrarla al cliché e renderla inconfondibile


Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) – Götz von Berlichingen (1771)
★★★★★★★★
In questo dramma per eccellenza dello Sturm und Drang, Goethe mette in scena un capitano di ventura del XVI secolo. Ma se la materia è storica nell’insieme, il poeta si muove poi liberamente a costruire l’antitesi che attraversa il dramma, tra una corte calcolatrice e il carattere del protagonista, che in nome della libertà e dei diritti della persona, insorge contro le autorità e le convenzioni sociali, con la schiettezza e l’onestà del popolo. Per questa ragione, ma anche per la sua stessa estraneità al classicismo francese, il dramma fu sentito come nazionale. Anche se il modello è Shakespeare, l’opera si muove con autonomia, il popolo non risulta affatto comico, e gli sbalzi di scena nello spazio e nel tempo si susseguono con turbolente rapidità, a riflesso di una Germania frammentata e ingovernabile.


Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781)Minna von Barnhelm (1767)
★★★★★★★★
Minna è la prima commedia nazionale tedesca ed è ancora una delle più vitali. Sullo sfondo della guerra dei 7 anni Lessing rispetta severamente le unità aristoteliche, così che tutti e 5 gli atti si svolgono dalla mattina al pomeriggio dello stesso giorno e nello stesso ambiente. Il lavoro ha come soggetto il conflitto fra onore e amore, suggerendo che l’uomo onesto e cavalleresco non deve cercare la fortuna materiale nell’amore cieco di una donna. Per il carattere appassionato e acuto della protagonista, per la vivacità e la leggerezza dello stile, per la freschezza del dialogo, il dramma entrò stabilmente nel repertorio tedesco, e fu tradotto in diverse lingue, italiano compreso.


Pierre Carlet de Marivaux (1688-1763) –Il gioco dell’amore e del caso (1730)
★★★★★★★★
Più che investigare l’amore come passione che sconvolge, è piuttosto la tenerezza del suo insorgere e delinearsi nelle anime giovanili che interessa a Marivaux, che eccelle nell’analisi dello stato iniziale delle simpatie, nel rivelarsi, all’insaputa dei protagonisti stessi, dei primi dubbi, dell’improvvisa gioia e delle prime delusioni. È appunto nel saper cogliere questi stati d’animo ancora vaghi, nel seguire i primi momenti incerti e accompagnarli fino allo svelamento, che si manifesta l’originalità dello scrittore. Che lo fa con quello stile iridescente e raffinato che passerà poi nel proverbiale marivaudage.


Denis Fonvizin (1745-1792) – Il brigadiere (1766) – Il minorenne (1782)
★★★★★★★
In entrambe queste commedie dal tono educativo e morale, sotto il buffonesco e il sarcastico, si avverte l’anelito del riformatore che aveva sotto gli occhi il quadro miserando di un fasto di cartapesta, nutrito di fatuità, ignoranza e meschinità, che ignorava il dolore dei servi della gleba. Se nel Brigadiere Fonvizin prende di mira l’educazione impartita nella buona società a base di imitazioni piatte di mode e locuzioni francesi, nel Minorenne presenta in tutta la sua crudezza la brutale ferocia del nobile terriero, arbitro della vita e della morte di milioni di servi della gleba senza diritti sociali, e che l’autore con questa sua opera intendeva riscattare.


Sturm und Drang (1770-1778)
★★★★★★★
Sotto questo titolo suggestivo e affascinante si intende il movimento che percorse la letteratura tedesca tra il 1770 e il 1778, in cui giovani intellettuali, rispondendo all’appello di Herder, insorsero contro istituzioni, autorità, convenzioni e tradizioni, e in nome dell’assoluta libertà del genio si lanciarono con l’impeto contro ogni barriera che ostacolasse l’erompere delle forze vergini della natura. Vari e di statura diversa furono gli autori di opere teatrali. Ma se Goethe, dopo aver piazzato il Götz von Berlichingen, si lasciò presto il movimento alle spalle per scalare ben altre vette; e se Schiller con I masnadieri vi aderì solo nella sua fase giovanile, gli altri rappresentanti restarono prigionieri della temperie a cui il loro nome è legato, e sbocciarono e avvizzirono entro i suoi limiti, senza superarli. E perciò li tratto qui di seguito.


Friedrich Maximilian Klinger (1752-1831) – Sturm und Drang (1776)
★★★★★★★
Fu questo titolo, come è noto, che fece da bandiera al famoso movimento preromantico tedesco, anche se l’autore, che pure era amico di infanzia di Goethe, aveva spalle troppo fragili per una così grande responsabilità. Ambientato al tempo della guerra d’indipendenza americana, il dramma presenta un eroe che senza freni si ribella all’ordine sociale, abbandonandosi a una passione esplosiva in obbedienza a un demone ribelle. La tragedia si pone così al di là del bene e del male, come espressione di una forza elementare esasperata, senza motivazioni psicologiche. Ma proprio per questo suscitò l’entusiasmo della gioventù contemporanea, persuasa al mito della volontà e dell’azione, e convinta di essere vittima di diffuse ingiustizie sociali.


Friedrich Maximilian Klinger (1752 – 1831) – I gemelli (1775)
★★★★★★★
Frutto più genuino dell’autore che diede il nome al movimento, questa tragedia rientra a buon diritto nella sua procellosa atmosfera, per la stringatezza senza divagazioni nel procedere dell’azione, e per l’attenzione dinamica, sovrastata dal cupo incombere di un destino tragico. Il protagonista Guelfo incarna in pieno l’impulso individualistico che non ammette freni nell’imporre la sua volontà su un mondo ritenuto colpevole di ingiustizia, e si ribella all’ordine sociale (in questo caso il diritto di primogenitura), con una passione esplosiva che, priva di ritegni razionali e morali, si trasforma in odio contro tutti, prima di portarlo fatalmente al fratricidio.


Johann Anton Leisewitz (1752-1806) – Giulio di Taranto (1776)
★★★★★★★
Per quanto riguarda Leisewitz, l’unica sua opera caratteristica è Giulio di Taranto, altra storia di conflitto tra due fratelli che si contendono la stessa donna. Il dramma al concorso di Amburgo arrivò alle spalle de I gemelli di Klinger, ma avrebbe poi ispirato La sposa di Messina di Schiller. Anche qui l’eroe proclama il valore della libertà individuale contro le leggi e le convenienze politiche, e il diritto di amare la propria donna indipendentemente da ogni ragione. Non si tratta tuttavia dell’opera di un genio tumultuoso, secondo il gusto vulcanico dei tempi, perché l’autore era troppo nutrito di razionalismo illuministico, e aveva assimilato i principi della drammaturgia di Lessing, che alla tensione rabbiosa opponeva la riflessione di un ragionatore.


Jakob Lenz (1751-1792) –I soldati (1776)
★★★★★★★
Ne I soldati Lenz rappresenta le incongruenze e la corruzione della vita militare, le conseguenze del celibato imposto agli ufficiali, le differenze di casta, e i pericoli che incombono su chi cerca di annullarli varcando i confini. Questioni che si risolvono in modo stravagante e grottesco, come quello sessuale con le violazioni, quello del celibato con una specie di allevamento di donne destinate a soddisfare gli istinti repressi. Come ben sapeva lo stesso autore, che, incapace di dominare il conflitto tra vita interiore e realtà esterna, si dibatté tra genialità e fanciullaggine, tra entusiasmo e disperazione, tra audaci perversità della fantasia e tenerezze, tra sarcasmi esagerati e idolatria, con una costante disarmonia degli opposti che sfociò nella pazzia. Ciò che spiega la frammentarietà, la disuguaglianza, lo squilibrio e la stravaganza di certe grossolanità caricaturali. Goethe disse di lui che non aveva concluso nulla, ma era grande per quello che aveva intravisto


Heinrich Wagner (1747 – 1779) – L’infanticida (1776)
★★★★★★★
Come ne I soldati di Lenz, anche qui troviamo un atto di accusa contro la classe privilegiata e libertina degli ufficiali che corrompono indifese fanciulle borghesi, facili vittime di affascinanti e prepotenti seduttori. Wagner critica la spietata durezza della società che giudica e condanna le vittime, senza punire i veri colpevoli. Il tema della fanciulla sedotta, tradita e spinta all’abbandono e alla follia, non era infrequente nella cultura popolare di Francoforte, a cui Wagner aveva attinto. Ma Goethe, che aveva letto agli amici l’abbozzo manoscritto dell’Urfaust, lo accusò di plagio. Chissà se lo perdonò, quando seppe della sua precoce morte a poco più di trent’anni.


Friedrich Müller (1749 – 1825) – Golo e Genoveffa (1776)
★★★★★★★
La sua opera Golo e Genoveffa ci trasporta nel mondo cavalleresco medievale, rinnovando l’idillio di Gessner con la linfa popolare. Il dramma è composto in una forma mista di prosa e versi, e allinea ad effusioni liriche e patetiche scene crude e macabre. Resta comunque un prodotto dello Sturm und Drang per il titanismo dei personaggi, per il rapporto fra passione e colpa, e per la rappresentazione del male come forza elementare che si sprigiona nella passione nefasta e incontenibile di Golo per la casta Genoveffa, nonché per la malinconia sentimentale alla Werther.


Richard Sheridan  (1751-1816) – La scuola della mldicenza (1777)
★★★★★★★
Pur attenuando la licenziosità della commedia di costume, grazie a un dialogo scintillante ed epigrammatico, Sheridan rese ancora più pungente la satira contro i difetti del suo tempo, dall’ipocrisia a qualche svenevolezza. I personaggi sono sì tratteggiati con colori forti, ma fasciati dall’umorismo costante dei dialoghi, che l’autore conduce abilmente, con consumata esperienza teatrale, per rappresentare la meschinità di un mondo fatto di pettegolezzi e intrighi, che sotto le moralistiche apparenze di una civiltà raffinata cova la peggiore corruzione.


Richard Steele (1672-1729)Gli amanti consapevoli (1722)
★★★★★★★
L’intreccio, che è un adattamento dell’Andria di Terenzio, presenta il giovane Bevil che per volere del padre dovrebbe sposare Lucinda, figlia di un ricco mercante che non ama, perché è innamorato di Indiana. Lucinda da canto suo ama, riamata, Myrtle, un amico di Bevil. E quando quest’ultimo le confessa la sua avversione al progetto di nozze, Myrtle si insospettisce e sfida a duello l’amico, che però rifiuta di battersi, calcolando i danni derivanti da questa riprovevole usanza. È in questo rifiuto che consiste la “morale” della commedia di Steele, che perseguendo un intento di depurazione dei costumi, sperava di avere così una certa efficacia “sui i goti e i vandali che frequentavano i teatri”. Forse non epurò le condotte, ma non gli mancò il successo, visto che, a quanto pare, questo lavoro divenne un modello per la commedia sentimentale fiorita vigorosamente un secolo dopo.


Carlo Goldoni (1707-1793) – Il burbero benefico (1771)
★★★★★★
Scritta inizialmente in francese, questa commedia rientra nella formula tipica della pittura di carattere, in cui una situazione elementare si complica attorno all’estrosità del personaggio principale, che è causa diretta o indiretta delle varie peripezie. Il fatto che fosse composta in francese, e rappresentata per la prima volta a Parigi, suggerisce un facile richiamo a qualche precedente molieriano. Una curiosità è che Rousseau credette di riconoscersi in Geronte e si adirò col Goldoni, anche se Baretti, che pure per lui non aveva troppa simpatia, si sentì costretto a lodarlo. Ma che l’operazione letteraria fosse riuscita, lo prova il fatto che fu presto tradotta in 19 lingue.


Gaspar Melchior de Jovellanos (1744-1811) – Il delinquente per onore (1787)
★★★★★★
In questa commedia che risente della letteratura lacrimosa cara agli enciclopedisti, il protagonista, per vendicare il proprio onore contro un arrogante, uccide un uomo in duello e ne sposa la giovane e bella moglie. Tormentato però dal rimorso, vorrebbe cercare espiazione nella rinuncia all’amore. Ma l’arresto di un amico accusato di essere l’autore dell’omicidio lo costringe a costituirsi per salvare l’innocente, invano protestando contro una giustizia che spesso punisce a torto. Ricca di echi classici, l’opera perde drammaticità nel manieristico tormento della lontananza dalla sposa. La sua importanza consiste soprattutto nell’essere il primo dramma spagnolo.


Pieter Arentsz Langendijk (1683-1756) Amorosi inganni (1714)
★★★★★★
È questa la commedia a cui è affidata la fama dell’unico drammaturgo olandese di rilievo, e tuttora rappresentata. La materia, presa dalla prima parte di un romanzo uscito nel 1698, riguarda le singolari avventure di uno spiantato nobiluomo di Utrecht, che senza denaro ma innamorato di una fanciulla incontrata per le vie, riesce a conquistarne l’amore. La commedia è spassosa e piena di dialoghi vivaci, ispirati al teatro francese, anche se il grave verso alessandrino si direbbe poco adatto alla leggerezza della vicenda.


Alain-René Lesage – Turcaret 1709
★★★★★★
Già glorioso per i suoi romanzi, per necessità pratiche Lesage lavorò molto per teatro, a cui diede diverse commedie, dove profuse espedienti comici e talvolta grossolani, ma di una vivezza non comune, che dà l’impressione della vita vissuta. E rivolge una satira insolitamente amara contro i finanzieri del tempo, con un’indipendenza e una libertà di giudizio insospettata nello scrittore schivo e appartato. Il suo tono è spesso leggero e agile, di pittoresca persuasione e limpidezza. Ma è questo un pregio a cui lo scrittore giunse solo dopo lunghe correzioni, per adeguare alla sua espressione più curata il tono parlato e quasi familiare del popolo, che è una delle ragioni della sua attrattiva.


Alfonso Varano  (1707-88) – Giovanni di Giscala (1754)
★★★★★★
La vicenda, ambientata durante la prima guerra giudaica, ha per protagonista il personaggio storico di Giovanni di Giscala. Si tratta, come sappiamo dallo storico Flavio Giuseppe che ne era fratello (ma non ammiratore), di un condottiero ebreo vicino al movimento zelota, e che per impadronirsi del tempio aveva impresso una paura servile nei suoi compagni, e portava avanti una posizione intransigente, aspirando al dominio assoluto. Quando però Gerusalemme cadde per mano di Tito, fu condotto a Roma dove finì i suoi giorni in prigione. Nella tragedia invece la sua grandezza campeggia in scene eloquenti, culminando nel sacrificio, dopo aver disperatamente combattuto fino all’ultimo. La magnanimità di Tito, l’umanità dei romani e la costante serenità dall’assunto poetico spiegano la maniera magniloquente della tragedia, che scade nell’inverosimile e repentina conversione cristiana per opera di una donna…


Michel-Jean Sedaine (1719-1797)Il filosofo senza saperlo (1766)
★★★★★★
La mattina delle nozze della figlia, il ricco negoziante Vanderk si accorge che il figlio sta uscendo di casa con le pistole, e apprende del duello con un ufficiale che ha insultato la categoria. Siccome però la cerimonia matrimoniale deve comunque svolgersi come previsto, e nessuno deve sapere lo strazio del suo cuore paterno, gli invitati si stupiscono del ritardo del figlio, di cui giunge presto la notizia che è stato ucciso. Per fortuna si tratta di una fake news, subito smentita dal redivivo Vanderk che si è riconciliato col rivale, considerando la sciocchezza del loro comportamento. Riversando nel dramma borghese la semplice umanità dell’esistenza modesta e appena sfiorata dalla tragedia, Sedaine fece da apripista al teatro del primo ‘800, ed ebbe notevole risonanza. Leopardi lo apprezzò prima di Théophile Gautier. E George Sand ne scrisse addirittura il sequel.

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