La misoginia stereotipata: “L’animale femmina” di Emanuela Canepa (recensione a cura di Maresa Schembri)

Pubblicato nel 2018, L’animale femmina è un romanzo che ha come tematica principale lo stereotipo (o forse, sarebbe meglio parlare al plurale) sulle donne, di cui già lo stesso titolo, volutamente maschilista, si fa portavoce. Emanuela Canepa mette in scena la vita della protagonista, una giovane studentessa universitaria, di nome Rosita, che, fuggita al controllo di una madre opprimente, si trasferisce a Padova per studiare medicina. La vigilia di Natale, però, conosce l’avvocato Lepore che gli offre un lavoro come segretaria nel suo studio; ma quello che all’inizio sembra un motivo di gioia, si rivela presto una fonte di tormento. Infatti, l’anziano avvocato comincia ad esercitare sulla ragazza una sottile manipolazione psicologica, sfoderando discorsi che bruciano di misoginia.
Parallelamente alle vicissitudini di Rosita e in alternanza con quelle, la scrittrice racconta la storia di due ragazzi tra gli anni ‘50 e ‘60, Ludovico e Guido che si ritrovano a dover affrontare i doveri e i dolori della vita adulta, il cui significato si palesa nella seconda metà del romanzo.
La caratterizzazione dei personaggi è ben costruita. Nel corso della narrazione, la protagonista subisce una vera e propria trasformazione che la porta ad essere una donna libera, padrona delle proprie scelte e ad abbandonare la veste di fragile ragazza succube del giudizio altrui; Lepore è dipinto come un uomo ombroso e cinico che non ammette deviazioni rispetto alle sue convinzioni, ama catalogare le persone, specialmente le donne, che considera creature standardizzate, prevedibili e banali, vittime della sua insoddisfazione e della sua frustrazione. Sembra un deus ex machina ma in realtà il suo cinismo non è diabolico, bensì lo specchio di un trauma.
Emanuela Canepa riesce a costruire un universo dominato dai soldi che, sia in termini di abbondanza che di mancanza, diventano un’espressione di potere che domina i rapporti interpersonali. Non si intravede amore nelle relazioni, nessuna trasparenza, nessuna pietas.
Questa tensione si rispecchia anche nella scrittura del testo: la lingua, infatti, non cede ad alcun lirismo, è deficitaria di similitudini ma è pregna di azioni e fatti, non abbandonandosi quasi mai all’auto benevolenza, tanto frequente in chi parla in prima persona. Da notare, inoltre, come questo gusto stilistico risulti plasmato indistintamente nei dialoghi tra i personaggi; questo vuol dire che tutti sembrano avere le stesse caratteristiche narrative, dato che mancano le marche distintive nelle espressioni di chi parla. Lo stile è lineare, fluido, seppur con qualche innocenza tecnica, appunto, compensata, però, dalla maturità contenutistica che permette a Emanuela Canepa di dare sostanza ad un argomento spinoso come quello della misoginia in una cornice narrativa che, tutto sommato, convince.


2 commenti

  1. […] 👉 Recensione di Maresa Schembri su “L’animale femmina” di Emanuela Canepa: Un altro articolo imperdibile è la recensione di Maresa Schembri su questo audace romanzo che esplora gli stereotipi di genere. Scopri come la storia di Rosita, una studentessa universitaria in fuga dalla madre oppressiva, si intreccia con una riflessione sulla misoginia. Leggi la recensione completa qui: La misoginia stereotipata: “L’animale femmina” di Emanuela Canepa (recensione a cura di Maresa… […]

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