ANASSAGORA (499-428 a.C.)

Briciola di filosofia #22

Trovate le puntate precedenti, sulla pagina dedicata a questa rubrica: Briciole di filosofia


Abbiamo già detto che tra il VI e il V secolo alcuni pensatori, detti pluralisti, pur riconoscendo alla base della molteplicità e del mutamento una realtà eternamente stabile come l’essere parmenideo, erano però mossi dall’esigenza di “salvare i fenomeni” restituendo credibilità alla conoscenza sensibile, da Parmenide dichiarata illusoria. Così Empedocle aveva pensato di porre a fondamento della realtà quattro principi, ognuno con caratteri dell’essere, ma al tempo stesso in grado di spiegare il mutamento con l’inesauribile alternarsi della loro aggregazione e disgregazione. Non si trattava solo di un compromesso per salvare “capre e cavoli”, ma dell’esigenza di ricondurre la riflessione dai cieli della metafisica verso la normalità del quotidiano.

La stessa preoccupazione ritroviamo anche nell’opera di Anassagora, un pensatore nativo di Clazomene che operò a lungo ad Atene, prima di esserne cacciato per una ragione curiosa. Ché se finora l’indagine filosofica si era svolta soprattutto nelle colonie, ossia in zone periferiche più esposte ai contatti di altre civiltà, con lui la filosofia sbarcò per la prima volta nella madre patria, dove fondò una scuola che tra i suoi uditori ebbe probabilmente anche Socrate. Ma se la gloria di Atene iniziava così a rifulgere, per irradiarsi sovrana per tutto l’orbe terraqueo, quella di Anassagora fu non poco contrastata: visto che le sue teorie gli attirarono presto l’accusa di empietà da parte dei ceti tradizionalisti che attraverso lui miravano a colpire la politica illuminata di Pericle di cui era amico. E il filosofo, piuttosto che affrontare un processo di cui prevedeva l’esito, preferì lasciare la capitale per riparare a Lampsaco, dove morì nel 428.

Convinto al pari di Empedocle che l’essere non può nascere e perire, anche Anassagora ritiene che il divenire non riguardi la sua essenza, ma dipenda piuttosto dalla combinazione di principi immutabili, che però non sono le quattro radici di Empedocle bensì un numero illimitato di particelle eterne detti semi (e che poi Aristotele ribattezzerà omeomerie).

“Per quanto tu divida un pezzetto di osso, avrai sempre particelle di ossa, via via minori”.

E sono appunto questi semi che, combinandosi inesauribilmente, occupano ogni aspetto del reale, determinandone la diversità con la loro proporzione. Così se una foglia appare verde, è perché in essa è presente una maggior quantità di semi verdi, che si impongono ma non aboliscono la compresenza di quelli di colore diverso. Essendo inoltre essi divisibili all’infinito e capaci di aggregarsi senza limiti, nessun elemento può dirsi semplice, poiché ognuno conserva tutti i semi anche nella trasformazione, come avviene del pane e dell’acqua che si mutano in carne e sangue.

I semi sono tutti insieme nelle cose, illimitati per quantità e per piccolezza. Sicché bisogna supporre che siano tutti presenti in tutti gli aggregati, qualunque sia la loro forma, colore e sapore.

Anche per la teoria della conoscenza Anassagora si distanzia da Empedocle, ritenendo che essa avvenga non per affinità tra simile e simile, quanto piuttosto dal confronto dei contrari: senza il caldo noi non conosceremmo il freddo, senza la notte non realizzeremmo il giorno, senza la morte non parleremmo di vita, e senza gli altri non avremmo coscienza di noi stessi.

Le cose calde sono percepite con le parti fredde e quelle amare con le parti dolci.

Quanto al dinamismo del divenire si ricorderà che Empedocle aveva fatto ricorso alla doppia forza dell’amore che unisce e dell’odio che disgrega. Anche qui Anassagora la pensa diversamente. Ma una volta ammesso che i semi sono presenti in tutte le realtà, secondo quali criteri si distribuiscono in proporzioni diverse? La loro mescolanza avviene per caso, imprevedibilmente e caoticamente? La spiegazione che ne dà Anassagora è “originale”, tanto più che fu forse proprio essa ad attirargli l’accusa di empietà, per l’introduzione nel politeistico universo greco del concetto di un principio cosmico e intelligente, destinato ad avere larga fortuna.

Qualunque cosa doveva essere, qualunque fu e sarà, è ordinata dall’intelletto come la rotazione del sole, della luna, dell’aria.

Come dire che qui niente niente Anassagora introduce la rivoluzionaria idea di un’intelligenza divina regolatrice da lui detta Nous. E come non pensare allora che sia stata essa a titillare gli invasati di teodicea che di volta in volta l’hanno ribattezzata come destino, fato o Provvidenza? Significa che è stato lui a fecondare, più che deismo o teismo, tutti i monoteismi? E se fosse stato lui inventare Dio?


 

Un commento

Lascia un commento