“La felicità domestica” di Tolstoj.

Oscurato dalle grandi opere della maturità di Tolstoj, La felicità domestica, scritto nel 1859, è un piccolo gioiello della letteratura russa. In esso scorgiamo una sfera intima e domestica, nascosta tra le pieghe di una storia che trova la sua ispirazione nella vicenda autobiografica dello scrittore.

Delicato e crudele allo stesso tempo, il breve romanzo affronta il tema dei rapporti coniugali con una finezza e una inquietudine decisamente moderni. Protagonisti sono Maša, una diciassettenne orfana e Sergej, il suo maturo tutore di cui lei si innamora e che sposa. Ma subito si presagisce il sapore amaro della storia: infatti già sull’altare Maša si sente vuota e delusa e quando il novello marito la bacia, lei pensa: “Tutto qui?”.
I primi anni di matrimonio sono gioiosi e impreziositi dalla nascita di due bambini, ma l’armonia finisce nel momento in cui la moglie, appiattita dalla tranquilla vita di campagna, comincia a provare noia e un sentimento di insoddisfazione e incompletezza. Il marito la porta a San Pietroburgo e qui scopre i piaceri della vita mondana, diventa scostante nei confronti del marito, che scopre essersi, col tempo, disinnamorato di lei. Il matrimonio affonda nella palude dell’incomprensione, nel fardello della quotidianità e della difficile stabilità di coppia.

A ben guardare il titolo del romanzo appare ossimorico e provocatorio dato che Tolstoj non intende decantare l’amore coniugale ma, al contrario, metterne in luce le intrinseche e molteplici fragilità e oscurità. Attraverso la bellissima scrittura di Tolstoj, che ricorda la prosa di Turgenev, prende corpo la lucida analisi di Maša e, insieme, la metamorfosi del sentimento amoroso.
È molto interessante, inoltre, la prospettiva femminile da cui si racconta la storia che si concretizza, sul piano espositivo, in un eccezionale io narrativo. Una visione che narra la fisiologica trasformazione della passione e che fa riflettere sulla sua ipotetica coincidenza con la sua fine. Tolstoj nei suoi Diari scriverà “Sono meschino e insignificante, e quel che è peggio, lo sono diventato dopo aver sposato la donna che amo”. Un’affermazione cinica, questa, che esprime perfettamente il suo sguardo nitido e smaliziato sulla realtà.


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