Inès Cagnati, nata nel 1937 e morta nel 2007, era figlia di contadini italiani immigrati, cresciuta povera e isolata nella cittadina di Monclar, nel sud-ovest della Francia. Nonostante fosse diventata insegnante di lettere in un liceo prestigioso di Parigi, descrive la sua naturalizzazione di cittadina francese come una “tragedia”. Il peso di molteplici forme di straniamento (linguistico, culturale, di classe) non ha soltanto influito sul suo essere bambina ma l’ha anche plasmata come scrittrice. L’ombra delle difficoltà vissute si riflette ostinatamente nel suo romanzo Génie la matta, dove racconta un’esistenza fatta di miseria, solitudine, duro lavoro e sofferenza. Infatti, la protagonista è Génie, una donna cresciuta in un ambiente agiato e rispettabile, in una delle famiglie più note della zona contadina dove vive. A turbare la sua pace è uno stupro, da cui nasce Marie. Génie è la colpevole, Génie è la lurida, Génie è la vergogna. Decidendo di tenere il frutto di quella violenza, diventa lei stessa la “disgrazia” della famiglia, più incline a proteggere il suo buon nome che a tenere una ragazza-madre. La donna allora va a vivere in una casa isolata tra i salici. Non parla più, non sorride. Si rifugerà in un logorante silenzio, rotto solo da alcune frasi ripetitive e sarà per questo, e per la scelta criptica di tenere la bambina, che da tutti sarà conosciuta come Génie la Matta. È stata bollata, infamata. Comincia a vagare, cercando lavoro tra i campi e inizia una vita fatta solo di fatica e di sofferenza tra le fattorie e i campi della zona, mentre Marie cresce amando la madre in modo assoluto, senza riserve. A narrare è proprio lei, sua figlia, che la osserva da lontano mentre lavora, che si inchina davanti alle sue fatiche, che la ossequia di fronte ai vestiti intrisi di sudore, alle mani ammalate di terra crudissima. Spesso la sente piangere: ha i desideri più consumati della schiena, le speranze più scolorite del suo volto. Non ha avuto niente, come lei stessa più volte sottolinea nel racconto. Niente. E quel niente lacera il lettore, lo offende e lo incanta allo stesso tempo.
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L’amore esclusivo, bruciante e doloroso che Marie prova per la madre è messo a nudo dalla scrittura di Cagnati, asciutta e precisa. Un amore che è troppo, che è ricambiato da interminabili silenzi di cui si nutre la bambina e che sono difficili da sopportare. Geniè ha dentro di sé il dolore dell’abbandono, del tradimento, dell’incomprensione, del dolore senza colpa che si trasmette alla figlia che la guarda uscire di casa ogni giorno, compiere gli stessi gesti, ignorare le frasi, gli sguardi, le malelingue e anche purtroppo le frasi di Marie, che corre dietro a una madre irraggiungibile, impermeabile.
Madre e figlia sembrano unite non solo dal dolore ma anche da un destino comune: entrambe subiranno la stessa violenza carnale, in una replica che mette in scena la stessa riproduzione di un intollerabile oltraggio. Due vittime, due reiette piegate dagli eventi. Abbandonate a loro stesse, dovranno fare i conti con lo stesso dolore e fronteggiare fatti che sfuggono al loro controllo. E così non può esserci né gioia, né speranza né tantomeno riscatto nelle loro esistenze. Le due non vivono ma sopravvivono. Non è una sopravvivenza solo economica, ma anche affettiva; la stessa Marie è, infatti, costretta a elemosinare l’amore di una madre che si limita, ormai incatenata al suo dolore, a rivolgerle poche, anzi pochissime frasi, e, infine, anche socialmente perché, pagina dopo pagina, e giorno dopo giorno, sprofondano sempre più verso una voragine di solitudine.
Un romanzo complesso, potente e figurativo, doloroso e straziante, suggellato da uno stile che non poteva essere diverso: essenziale e senza fronzoli, perché, alla fine, il dolore non ha bisogno di grandi parole o pretese. I capitoli brevi, alcuni brevissimi, sono come istantanee che catturano un’immagine, un ricordo o un’azione e questo basta a mostrarci e portarci dentro la storia. Non c’è bisogno di altro perché Ines Cagnati colpisce precisa e sicura le nostre corde con poche ma giuste parole.
La pazzia è ciò che ci convince di essere normali, come afferma la stessa scrittrice nella sua intervista a Paton. Additare la pazzia negli altri è il rito apotropaico che rende possibile la nostra sanità, in un gioco degli opposti che dimentica completamente le sembianze della natura umana, fatta invece di sfumature, di zone grigie e insondabili a cui, per comodità, si preferisce rinunciare.


[…] di Inès Cagnati (1937-2007), pubblicato da Adelphi. Nell’articolo di Maresa Schembri (“Gènie la matta”, il romanzo straziante della solitudine di Inès Cagnati) si riassume la trama dell’opera: la storia, ambientata in una terra di confine, di una […]
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[…] “Gènie la matta”, il romanzo straziante della solitudine di Inès Cagnati. […]
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