Tra le macerie di Berlino: da vincitori a vinti

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Ancora il 3 novembre di quell’anno, vale a dire sei mesi dopo la fine della guerra, l’americano William Shirer, nel suo Diario di Berlino, riflette invece dal punto di vista dei vinti: “È difficile trovare le parole adatte per comunicare l’impressione che suscita una grande capitale distrutta fino al punto di essere irriconoscibile; l’impressione che produce una nazione un tempo potente e che ha cessato di esistere; un popolo di conquistatori così brutalmente arrogante e ciecamente sicuro della propria missione di razza dominante allorché partii di qui cinque anni or sono, e che ora fruga tra le macerie, poveri esseri umani inebetiti, tremanti e affamati, senza volontà, senza un fine e una meta, ridotti a cercare il cibo come gli animali, vaganti in cerca di un rifugio per tenersi in vita un altro giorno ancora.”
Tra vincitori e vinti, la dimensione di smarrimento, di fronte all’immane catastrofe fisica e antropologica, fu insomma la stessa.

Mario Fortunato, Le voci di Berlino

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