
L’età romantica vede il fiorire della grande letteratura russa. La Russia era entrata nel novero delle grandi potenze europee nel Settecento con Pietro il Grande e Caterina II. Negli ultimi anni del potere della zarina, l’europeizzazione aveva diffuso in Russia le tendenze pre-romantiche di Rousseau e si aprì un conflitto con la propensione alla classicità, anch’essa di importazione francese, che durerà a lungo, non senza interne mediazioni. Anzi si può dire che il Romanticismo russo ha inizialmente spiccati caratteri classici, come mostra ad esempio la poesia di Puškin. Solo successivamente, nel corso degli anni Venti, grazie all’attività dei poeti “decabristi” penetra anche in Russia il Romanticismo più acceso, di marca byroniana.
Con Gogol’ si esprime con forza la tendenza al realismo che assume aspetti grotteschi e surreali tipici della tradizione russa. Nasce nel 1809 a Sorotchinci, in Ucraina, da una famiglia di possidenti terrieri. Trascorre l’infanzia a Vasilevka, una delle proprietà del padre, un uomo appassionato di folklore locale che si dilettava a scrivere.
Studia al liceo di Niezhin per poi lasciare, dopo la morte del padre, l’amata madre e fuggire all’estero, probabilmente a causa degli sconvolgimenti emotivi causati da un primo insuccesso letterario.
Tornato in seguito a Pietroburgo, riesce finalmente ad acquistare una certa stima negli ambienti letterari e nel 1834 amici influenti del circolo di Puškin gli procurarono perfino una cattedra in storia all’Università, incarico che, a causa del suo temperamento disordinato e passionale, si risolve in un pieno insuccesso.
Esordisce in prosa nel 1831 con i racconti Le veglie alla fattoria di Dikan’ka, ispirati al folklore ucraino, a un mondo semplice e fantastico dove i rapporti umani sono immediati, sereni, armonici. Queste novelle rappresentano l’alternativa utopica rispetto alla realtà quotidiana della vita moderna e cittadina, descritta invece nella serie di Mirgorod (1835), dove accanto al carattere coloristico e realistico compare, nelle novelle di Taras Bulba, l’elemento storico-epico ispirato alla prima civiltà cosacca, e soprattutto nei cosiddetti Racconti di Pietroburgo. Si tratta di sei racconti, tre usciti in Arabeschi nel 1835 (La prospettiva Nevskij, Diario di un pazzo, Il ritratto), altri due l’anno successivo (Il naso, Il calesse), l’ultimo, Il cappotto, nel 1842. In questi racconti la vita cittadina e soprattutto la burocrazia sono indicate come causa della infelicità umana. Famosissimi sono soprattutto Il naso e Il cappotto.
Nel primo racconto, che ha uno spiccato carattere surreale, una tale crede di aver perduto il naso e lo vede viaggiare in carrozza per le strade di Pietroburgo, finché, dopo diverse disavventure, lo ritroverà al proprio posto sul viso. Nel secondo si descrive la grigia vita degli impiegati di Pietroburgo. Uno di essi deve fare terribili economie per potersi comprare, con il magro stipendio, un cappotto nuovo, che però gli viene rubato. Finisce per morire di freddo e di disperazione.
Il successo è grande e Gogol’ può dedicarsi ormai con tutte le forze alla creazione letteraria. Nel 1836 fa rappresentare l’ Ispettore, satira grottesca e sarcastica del mondo burocratico del tempo di Nicola I, che suscita l’inevitabile, aspra reazione degli ambienti colpiti. Sono le prime, vere amarezze di Gogol’ in ambito letterario, quelle nelle quali l’artista può concretamente toccare con mano la forza e la potenza emotiva delle sue descrizioni.
Dopo questi racconti Gogol’ si dedica al teatro ma resta insoddisfatto per l’accoglienza della critica e del pubblico. Dunque, ottenuto il permesso di soggiornare all’estero, si reca a Roma, dove cerca di allagare la sua conoscenza delle opere d’arte più importanti e dove ha modo di frequentare i circoli culturali più alla moda, sospendendo quasi del tutto i contatti con la patria. Ma già dal 1835 lo scrittore, elaborando alcuni spunti suggeritigli da Puškin, va elaborando un grandioso affresco della Russia del tempo, le Anime morte che lo assorbe non poco e che teme possa procurargli altri guai. Per questo motivo, protrae il soggiorno romano fino a miglior data, lavorando alacremente sui manoscritti.
Nel 1842 riappare a Pietroburgo e finalmente pubblica il 9 maggio le Anime morte, di cui resta solo la prima delle tre parti programmate, che avrebbero dovuto corrispondere alle tre cantiche della Commedia dantesca. L’idea, infatti, era quella di comporre un poema in tre parti: la prima avrebbe dovuto rappresentare l’inferno, cioè la situazione contemporanea di violenza e corruzione; la seconda un purgatorio, rimasto incompiuto e distrutto dall’autore, e la terza un ipotetico paradiso dove si sarebbero messi in luce gli aspetti positivi della Russia.
La storia è quella di Cičikov, che viaggia attraverso la Russia comprando a poco prezzo le «anime morte», cioè i nomi dei contadini («anime» nella Russia zarista) morti dopo l’ultimo censimento e sui quali i proprietari erano tenuti a pagare la tassa governativa fino al censimento successivo. Il suo piano è quello di servirsi di quelle «anime» vive solo per legge, per ottenere le assegnazioni di terre concesse a chi dimostrava di possedere un certo numero di servi della gleba. Il romanzo è un vasto affresco della Russia rurale e provinciale e consiste dunque nella storia delle trattative economiche e nella serie di proprietari terrieri con cui il protagonista viene a contatto viaggiando per la campagna russa. Memorabile è il ritratto del ricchissimo e avarissimo possidente Pliuškin, che accumula nei grani e nei magazzini più di quanto possa vendere o consumare.
Il filo conduttore di tutto il romanzo, come di tutta l’opera gogoliana, è l’ossessione, l’orrore per la forza demoniaca del denaro, capace di far fare qualsiasi cosa agli uomini. I personaggi sembrano non avere speranza di salvezza e neppure di aiuto. La loro cristallizzazione è compiuta. Ne deriva il giudizio d’insieme sulla società russa del tempo, che diventa simbolo del consorzio umano: tutto concorre a impedire lo sviluppo delle autentiche qualità dell’uomo, tutto determina e accelera il processo di degenerazione spirituale cui l’uomo è già per sua natura predisposto.
Al 1842 risale anche la commedia minore Il matrimonio, mentre qualche anno dopo, nel ’46, è la volta delle Lettere scelte, definite addirittura dai detrattori un’apologia della schiavitù, giudizi che contribuirono a deteriorare definitivamente i rapporti con i suoi connazionali. Si tratta di una raccolta di pensieri, osservazioni e massime letterarie, piene di moralismo sermoneggiante e con la preoccupazione ossessionante di agire in senso edificante sul lettore. La reazione della critica radicale, che fino ad allora aveva visto in lui il più coraggioso esponente della letteratura non allineata, fu violenta: Belinskij scrisse una famosa lettera aperta dove denunciò l’involuzione dello scrittore e la sua assunzione di posizioni filo-ortodosse e filo-zariste.
Gogol’, in cerca di pace, sempre più ossessionato da una visione mistica della vita, gira tra Roma, Wiesbaden e Parigi, fino ad approdare a Gerusalemme.
Di ritorno in Russia, continua senza tregua il tormentoso lavoro che lo ha accompagnato in tutti i viaggi, ossia quello che riguarda la seconda parte delle Anime morte fino alla notte dei primi del 1852, in cui, svegliato il servitore e fattosi accendere il caminetto, piangendo getta il manoscritto nel fuoco.
Gogol’ ha avuto un influsso determinante nella formazione di tutta la generazione di prosatori della seconda metà del XIX secolo. Dal punto di vista stilistico, è stato assolutamente originale nella descrizione realistica: da un cumulo di particolari affastellati e apparentemente neutri, ne balzano fuori alcuni ingigantiti, deformati, che gettano sul brano una luce grottesca inattesa. Gogol’ usa neologismi, mescola vari strati linguistici, fa germogliare immagine da immagine: i suoi procedimenti retorici sono scomponibili, ma la loro fusione nella narrazione porta a qualcosa di nuovo, originale, inedito.
Fu trovato morto dinanzi alla Santa Immagine in Mosca nel 1852.



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