Consigli di lettura per parlare di “genere”

9–13 minuti

Oggi stavo pensando di proporvi alcuni podcast dedicati ai libri. Tuttavia, la pubblicazione di un articolo uscito ieri su Culturamoremio mi ha fatto cambiare idea, proprio perché ricco di spunti interessanti. Il testo in questione è di Chiara Badesso, blogger con una laurea in fisioterapia1, e un’altra in lingue applicate e traduzione, e lo potete leggere cliccando su «Riflessioni sull’importanza del genere». Si tratta di un articolo che affronta questioni di genere, un tema a me molto caro, sviluppato tenendo conto di una ricchezza di prospettive che mi ha spinto a scriverne nuovamente. Insomma, ho voluto dire la mia. Qui di seguito trovate, in corsivo, alcuni estratti con alcune mie considerazioni. Ogni paragrafo è supportato da un consiglio di lettura che può essere utile per approfondire il singolo punto. I titoli dei libri sono in evidenza, nel caso vogliate saltare la parte più “noiosa” 😉

C. B.: Negli ultimi anni ho notato una tendenza nella società, a livello internazionale e in particolare fra i giovani (ma non solo), che trovo personalmente inquietante, perché ha assunto la forma di una “guerriglia” più o meno esplicita. L’attenzione delle nuove generazioni, così come quella di molti adulti in questo periodo storico di grandi trasformazioni (vedi i cambiamenti climatici, macroeconomici, le guerre, l’avvento dell’IA), sembra essersi spostata più sulla differenziazione di genere “a priori” che sulla capacità dimostrata e/o la volontà di una persona di portare a termine un’attività, in ambito famigliare o lavorativo, in modo etico, comunitario, appropriato al contesto e che favorisca la collaborazione tra gli individui.

Difficile dire a quale “guerriglia” si riferisca l’autrice, o cosa intenda per “differenziazione di genere ‘a priori'”. Penso tuttavia che la riflessione sull’identità di genere possa dirsi tanto fondamentale quanto le altre problematiche menzionate. Non sono quisquiglie quelle relative all’identità e all’autodeterminazione dell’individuo. Socrate stesso raccomandava “conosci te stesso”: e non è forse l’identità di genere un tassello importante? Solo un individuo che conosce se stesso e sceglie per se stesso un’identità sociale può collaborare con cognizione alla comunità. Inoltre, valutare l’importanza di una questione contrapponendola alla volontà di una persona di portare a termine un’attività è un modo un po’ ristretto di guardare alla nostra esistenza. Del resto, non sono certo i giovani a porsi domande del genere (mi si perdoni il gioco di parole). La letteratura ci ha regalato un classico senza tempo che racconta di un personaggio che attraversa diverse epoche, mutando genere, e così identità. Un testo visionario e quanto mai pregnante:


C. B.: […] Da qui, facendo solo un esempio, vedo sempre più donne che cercano rifugio e supporto esclusivamente in comunità di donne. Questa netta differenza fra maschio/femmina dal punto di vista delle funzioni cognitive, però, non è supportata dalla ricerca e di certo non è il presupposto per incoraggiare rapporti armoniosi in generale, in qualunque ambito.

La questione della differenza fra maschio e femmina dal punto di vista cognitivo è sdrucciolevole per due ragioni: 1) il concetto di funzione cognitiva è lasco e dibattuto, così come il modo di misurarla. Di un costrutto intuitivo come quello della memoria esistono diverse tipologie, tra cui quella a breve termine, a lungo termine, memoria di lavoro… e per ognuna di esse si contano almeno 2 (ma in molti casi di più) test clinici (Digit span test, test del Corsi, solo per citarne due e questo solo per il terzo tipo di memoria); 2) cosa si intende per “netta differenza”? Immagino, differenza statistica. Come che sia, possiamo davvero imputare l’ipotetica asimmetria alla genetica, e non alla sociologia? Non occorre sollevare un tal vespaio per spiegare come mai le donne in difficoltà cerchino rifugio in comunità femminili: dopo uno stupro o una violenza si cerca conforto tra chi quell’usurpazione di volontà la può capire. Sul tema della violenza di genere e su ciò che segue ad un’aggressione, consiglio questo pamphlet scritto da una sopravvissuta:


C. B.: […] nell’essere umano, le femmine hanno due cromosomi X, mentre i maschi ne hanno uno X e uno Y, e questa differenza influisce su molti altri fattori, tra cui il funzionamento dei sistemi riproduttivi e la quantità degli ormoni in circolo […] Tutto questo porta a tratti fisici evidenti: i maschi sono più forti, spesso più alti, con spalle più larghe, mentre le femmine di solito hanno fianchi più larghi e una diversa distribuzione di grasso corporeo. Le femmine attraversano il ciclo mestruale e possono (attenzione, non ho detto devono) rimanere incinte e partorire. 

Naturalmente, la differenza genetica tra maschi e femmine accomuna tutto i mammiferi, e porta a distinguere gli individui a livello di sesso o genere biologico. Parliamo, quindi, di caratteristiche fisiche peraltro non sempre generalizzabili (esistono uomini bassi, donne con le spalle larghe, donne che hanno un equilibrio ormonale variabile, uomini che fanno fatica a sollevare pesi). Insomma, stiamo parlando di esteriorità non di identità di genere (che riguarda la sfera piuttosto psicologica). La genetica ci divide in maschi e femmine, non in uomini e donne. Riconoscerci in un’identità piuttosto femminile o piuttosto maschile è prerogativa nostra; fa parte del diritto all’autodeterminazione, e nel farlo possiamo andare oltre al binarismo per accogliere anche identità fluide. Sul rapporto tra cromosomi sessuali, livelli ormonali, struttura dei genitali e identità di genere si sofferma un saggio simpatico e agevole, quanto utilissimo:


C. B.: E qui arrivo al punto: è stato dimostrato che ci sono alcune leggere variazioni nella struttura cerebrale fra i due sessi, ma queste differenze sono generalmente minime e non influiscono sull’intelligenza o sulle capacità cognitive. Le variazioni da individuo a individuo sono molto comuni, e i fattori famigliari, culturali e ambientali giocano un ruolo cruciale nell’influenzare e plasmare la nostra forma mentis. Non vi è alcuno studio che dimostri che certe caratteristiche mentali siano attribuibili specificamente, fin dalla nascita, ai maschietti o alle femminucce.

La questione del gendered brain, ovvero della distinzione tra cervello femminile e maschile, è un classico, radicato nei primi studi di psicologia del XVIII secolo. A questi si sono poi aggiunti gli sviluppi nel campo della genetica attraverso i quali è passato sotto radar l’assunto che, se abbiamo due diversi template che producono due diversi corpi, ci saranno anche delle differenze nel cervello. Purtroppo, non è possibile risalire agli studi menzionati da Badesso; ma è doveroso ricordare che la ricerca si è focalizzata soprattutto sulle differenze a livello di corteccia cerebrale, dato che la materia bianca, per ragioni tecniche, è rimasta fino a tempi recentissimi inaccostabile all’osservazione empirica. Inoltre questi lavori spesso prendono a campione una sottoparte della popolazione ben specifica: studenti, bianchi, occidentali. Questo è un caveat metodologico. Più importante è che di recente la maggior parte dei lavori che mostrano quelle leggere variazioni nella struttura cerebrale fra i due sessi è stata smentita in maniera puntuale in un eccellente lavoro, di non agevolissima lettura seppur imprescindibile:


C. B.: Siamo tutti, in primo luogo, figli di due genitori, dotati di un certo corredo genetico caratteriale, cresciuti con una certa educazione, esposti o meno all’influenza di fratelli/sorelle/parenti/conoscenti/amici/datori … immersi in certi usi e costumi, residenti in una certa geografia in un certo sistema politico e socio/culturale, ecc. 

La questione del corredo genetico è spinosa. Parlare di corredo genetico caratteriale implica una relazione diretta tra apparato cromosomico e carattere. Ad oggi questo non è stato dimostrato; anzi, sappiamo ancora pochissimo dell’incredibile linguaggio che è il DNA: ne conosciamo a malapena la fonetica, e siamo lontanissimi dal decifrarne la sintassi. Figurarsi capire quali incastri di alleli e cromosomi generano i nostri caratteri! Non abbiamo prove che esista il gene della timidezza, o quello della propensione per la musica Jazz, come si discute ampiamente in un saggio divulgativo di tematica affine sebbene diversa:


C. B.: E, infine, sì, abbiamo caratteristiche fisiologiche (e, da qui, fisiche) maschili o femminili. Sono, queste singole ultime due caratteristiche, un fattore così determinante o l’unico fattore per decidere se è il caso di creare una comunità con questa o quella persona? E dove vanno a finire valori quali l’empatia, la delicatezza, l’ascolto, il rispetto, la tolleranza, la correttezza, la compartecipazione, l’altruismo, l’amore per la vita? Non crederò mai che chi si comporta male con il prossimo è perché è maschio o femmina … stiamo attenti alle generalizzazioni forzate e pericolose.

È tempo di mettere a fuoco una differenza fondamentale fin qui accennata, ma dall’articolo piuttosto ignorata: la distinzione tra sesso biologico e identità di genere. Certo che abbiamo caratteristiche fisiche diverse! Perché abbiamo DNA diversi! Il genere però, come direbbe una mia cara amica, è proprio ‘n altra roba. Non possiamo scegliere il DNA, ma possiamo e dobbiamo riflettere sulla nostra identità di genere, esercitando il nostro diritto all’autodeterminazione. Invece, concordo con l’autrice che essere biologicamente femmina o maschio non importa. L’identità di genere conta se la rivendichiamo, se la scegliamo quale parte costitutiva di ciò che siamo, se decidiamo di plasmarla sulla nostra individualità. Non esiste un solo modello di donna o di uomo, e non esiste solo “uomo” e “donna” come opzione. Il genere è uno spettro, e sta a noi scegliere dove collocarci e come esprimere la nostra preferenza, pure se questa presuppone lo “stare nel mezzo”. Insomma, nessuno ritiene che l’esito di tale scelta possa essere ragione di un comportamento, dacché ciò costituirebbe un pregiudizio; ma non dobbiamo fare l’errore di dire che il genere non esiste o che siamo tutti uguali. Sarebbe come dire che il carattere o il colore della pelle non esistono. Le differenze sono invece espressione della nostra individualità e vanno salvaguardate! Per tutte queste questioni raccomando la seconda edizione di Cose spiegate bene che raccoglie diversi articoli:


C. B.: In contrasto a questo movimento è necessario e importante dire che, d’altra parte, vi sono coloro che rifiutano completamente un mondo basato sulla differenziazione di genere maschio/femmina (sia a livello psicologico che fisico) e che suggeriscono, a livello linguistico, l’introduzione di pronomi personali e articoli neutri quando questi si riferiscono a persone (il “das” in tedesco), in quegli idiomi dove esistono solo il maschile e il femminile, ma nessuna forma che li contenga entrambi. 

Vale quanto detto sopra sulla distinzione tra genere (spettro ai cui estremi abbiamo donna e uomo e molto in mezzo) e sesso (maschio e femmina). Qui temo si faccia un po’ di confusione tra psicologia, genetica e linguistica. Essendo io una linguista, due parole su questo punto. Chi propone l’uso di un linguaggio inclusivo non vuole annullare le differenze di genere, ma, al contrario, le vuole rispettare. Ad esempio, in italiano, il maschile è per ragioni storiche legate allo sviluppo della lingua, il cosiddetto genere di default. Nella frase “Marco e Laura sono andati al mercato” si usa la forma maschile plurale del participo, pur essendo nel soggetto inclusa Laura. Proprio perché Laura è una donna, si preferisce una forma andatə che non escluda nessuno. Insomma è un’istanza che discende da quanto detto sopra sulla differenza di genere e non in contrasto con esso. Non capisco bene a cosa rimandi la questione della forma neutra dell’articolo tedesco, dal momento che esso è usato, tranne rarissime eccezioni (tipo das Kind “il bambino” o das Mädchen “la ragazza”), per referenti non umani, e quindi mai per persone. Per la questione dello schwa usato graficamente e non come fonema, rimando al libro che ha aperto la questione al dibattito pubblico:


C. B.: A questo punto mi sorge una domanda, a cui magari altri professionisti potrebbero provare a dare risposta: qual è la ragione di fondo per cui non si vuole più fare esplicito riferimento alle evidenti caratteristiche, quantomeno fisiche, femminili/maschili di una persona? 

A questo punto mi pare evidente la risposta: che l’esterno non sempre combacia con l’interno. La lingua deve far riferimento a ciò che ci sentiamo e non a ciò che appariamo. Se l’identità che si sceglie è quella femminile, poco importano la grandezza delle nostre spalle, la nostra forza fisica o i nostri livelli ormonali: siamo donne, e a noi ci si rivolgerà usando il femminile. È questa una delle sfide più grandi di chi si trova ad affrontare la disforia di genere: far comprendere a chi ci sta accanto che l’aspetto esteriore non corrisponde sempre all’identità di genere che abbiamo scelto per noi stessi. Ed è proprio su questo aspetto che concluderei, raccomandando un romanzo coraggioso, intimo e illuminante come solo certa narrativa può esserlo:


  1. Il profilo dell’autrice che trovate linkato (basta cliccare sul nome o sul cognome) è stato modificato in data 13 maggio 2024, dopo la pubblicazione di questo articolo. Le informazioni qui presentate fanno riferimento alla versione precedente del profilo pubblicato su Culturamoremio. Lettori e lettrici possono trovare tutto il materiale aggiornato cliccando sul link Chiara Badesso ↩︎

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14 commenti

  1. Cara amica, ho letto e riletto l’articolo con attenzione. Un’analisi perfetta, rivelatrice di grande spessore culturale e di una non comune padronanza linguistica. Bravissima. Bello acoltare una voce capace d’illuminare e di indicare una visione del mondo funzionalmente aperta a una problematizzazione costruttiva e generatrice di orizzonti meno angusti, più ricchi di senso. Nonostante la mia età, mi rendo conto di avere ancora tanto da imparare; e questo non mi pesa, mi rende anzi felice e più fiducioso nel futuro. Il caro e compianto Roberto Pazzi, oltre a essere poeta e scrittore “visionario” ha sempre rivelato di avere un vista lunga in merito alle persone con cui interagire sul piano intellettuale e su quello artistico. Un saluto affettuoso.

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    • Cara amica, ho letto e riletto l’articolo con attenzione. Un’analisi perfetta, rivelatrice di grande spessore culturale e di una non comune padronanza linguistica. Bravissima. Bello acoltare una voce capace d’illuminare e di indicare una visione del mondo funzionalmente aperta a una problematizzazione costruttiva e generatrice di orizzonti meno angusti, più ricchi di senso. Nonostante la mia età, mi rendo conto di avere ancora tanto da imparare; e questo non mi pesa, mi rende anzi felice e più fiducioso nel futuro. Il caro e compianto Roberto Pazzi, oltre a essere poeta e scrittore “visionario” ha sempre rivelato di avere un vista lunga in merito alle persone con cui interagire sul piano intellettuale e su quello artistico. Un saluto affettuoso.

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    • Cara amica, ho letto e riletto l’articolo con attenzione. Un’analisi perfetta, rivelatrice di grande spessore culturale e di una non comune padronanza linguistica. Bravissima. Bello acoltare una voce capace d’illuminare e di indicare una visione del mondo funzionalmente aperta a una problematizzazione costruttiva e generatrice di orizzonti meno angusti, più ricchi di senso. Nonostante la mia età, mi rendo conto di avere ancora tanto da imparare; e questo non mi pesa, mi rende anzi felice e più fiducioso nel futuro. Il caro e compianto Roberto Pazzi, oltre a essere poeta e scrittore “visionario” ha sempre rivelato di avere un vista lunga in merito alle persone con cui interagire sul piano intellettuale e su quello artistico. Un saluto affettuoso.

      Pasquale Matrone

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    • Carissimo, purtroppo dal tuo profilo non riesco a vedere il tuo nome, ma mi rallegra sapere che abbiamo entrambi un amico del calibro di Roberto Pazzi in comune. Parlo al presente perché dopotutto lui è ancora qui con noi, che mi guarda dalla libreria con i suoi romanzi visionari. Grazie per le tue parole, a volte non è facile prendere posizione su certi temi, ma ieri non ho saputo trattenermi e sono contenta di essere riuscita a rendere l’articolo una lettura piacevole. Grazie per seguire Giornate di lettura e per sostenere quello che scriviamo. Un saluto affettuoso da Zurigo ♥️

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  2. Cara Federica, quale autrice dell’articolo che hai utilizzato come spunto per alcune tue riflessioni, mi sento in dovere di approfondire alcuni punti che ho toccato un pò troppo rapidamente per ragioni di spazio e tempo 🙂

    Ti risponderò con calma, passaggio per passaggio, cercando di spiegare meglio cosa intendevo e, magari, aprendo altri sottocapitoli interessanti per entrambe e per i lettori ❤️

    1) “Difficile dire a quale ‘guerriglia’ si riferisca l’autrice o cosa intenda per ‘differenziazione di genere ‘a priori'”.

    Mi riferisco in particolare alle donne che ho conosciuto io di persona nella mia vita, non solo italiane, e non poche – di cui non posso fare nomi – che frustrate dalle relazioni sentimentali concludono con un bel “eh, ma sono uomini, cosa pretendi che capiscano”. O a coloro che scelgono una psicoterapeuta o una coach o una ginecologa di sesso femminile a scatola chiusa senza essersi informate sulla qualità di altri/e specialisti/e, perché pensano che “le donne abbiano una marcia in più” nel proprio lavoro per il fatto di essere donne e quindi  “esserci passate”. Purtroppo, per esperienza personale, ho incontrato e conosciuto professioniste donne delicate e sensibili come “trattori” negli ambiti citati sopra. Proprio perché, ahimè, la capacità di autoriflessione sulla propria esperienza di vita e l’empatia non sono di dominio esclusivamente di chi è nata femmina, ma di chi riesce ad affrontare certe tematiche dolorose del passato. E qui si sfocia nell’ambito della psicologia. E, come giustamente dici anche tu, il concetto di genere è ben più ampio e diverso rispetto a quello di sesso. Purtroppo, al momento, la scelta di una terapista donna, per fare un esempio di “scelta a priori”, viene fatta al 90% dei casi sulla base delle caratteristiche fisiche: si guarda la foto, si guarda l’appellativo scelto dalla persona stessa, se ne deduce il sesso, indovinandone il genere (errore anche per me, e quindi siamo d’accordo). Di esempi di donne che cercano comunità di donne (professionali o meno) come una sorta di rifugio ce n’è a bizzeffe ovunque: FB, LinkedIn. Il punto è: questa scelta si basa su criteri superficiali e non approfonditi, non conoscendo i valori che tutte le altre mila donne abbracciano. E, quindi, si fa del nerbo un fascio, che per me è un pericolo.

    2) “Penso tuttavia che la riflessione sull’identità di genere possa dirsi tanto fondamentale quanto le altre problematiche menzionate. Non sono quisquiglie quelle relative all’identità e all’autodeterminazione dell’individuo.”

    Di nuovo, concordo al 100% con te. Così come non sono quisquiglie gli studi sulla personalità e le componenti della personalità, di cui non si parla qui. Vedi come riferimento gli studi di Jordan Peterson, per citare uno studioso in questo ambito. Socrate aveva ben ragione! A questo punto, quindi, lancio io una domanda, che per me va addirittura al di sopra del “cosa è l’identità di genere”? Eccola qui: cosa è l’identità? Come mi autodefinisco? Solo rispecchiandomi nel genere, o c’è altro ancora?

    3) “Inoltre, valutare l’importanza di una questione contrapponendola alla volontà di una persona di portare a termine un’attività”.

    Ma non è assolutamente quello che ho scritto! Quello che ho scritto io è “la volontà di una persona di portare a termine un’attività, in ambito famigliare o lavorativo, in modo etico, comunitario, appropriato al contesto e che favorisca la collaborazione tra gli individui.”. Ho quindi incluso il rispetto per se stessi e per l’altro, alla base dei rapporti aperti e pacifici, attenzione! Lo scrivevo come esempio di criterio di scelta di un partner di vita o di lavoro o di tempo libero. Inoltre, per “attività”, si può intendere anche un pensiero o l’espressione di un pensiero. Dove è la “ristrettezza”? Cosa manca?

    4) “Del resto, non sono certo i giovani a porsi domande del genere (mi si perdoni il gioco di parole).”

    Tutti per me, non solo i giovani, dovrebbero anche domandarsi cosa sia la autoconsapevolezza e cosa significhi, secondo loro, essere collaborativi e facilitare i rapporti interpersonali in maniera pacifica.

    Grazie per lo spunto di lettura!

    Caro saluto

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      1) Mi riferisco in particolare alle donne che ho conosciuto io di persona nella mia vita, non solo italiane, e non poche – di cui non posso fare nomi – che frustrate dalle relazioni sentimentali concludono con un bel “eh, ma sono uomini, cosa pretendi che capiscano”. O a coloro che scelgono una psicoterapeuta o una coach o una ginecologa di sesso femminile a scatola chiusa senza essersi informate sulla qualità di altri/e specialisti/e, perché pensano che “le donne abbiano una marcia in più” nel proprio lavoro per il fatto di essere donne e quindi  “esserci passate”. Purtroppo, per esperienza personale, ho incontrato e conosciuto professioniste donne delicate e sensibili come “trattori” negli ambiti citati sopra. Proprio perché, ahimè, la capacità di autoriflessione sulla propria esperienza di vita e l’empatia non sono di dominio esclusivamente di chi è nata femmina, ma di chi riesce ad affrontare certe tematiche dolorose del passato. E qui si sfocia nell’ambito della psicologia. E, come giustamente dici anche tu, il concetto di genere è ben più ampio e diverso rispetto a quello di sesso. Purtroppo, al momento, la scelta di una terapista donna, per fare un esempio di “scelta a priori”, viene fatta al 90% dei casi sulla base delle caratteristiche fisiche: si guarda la foto, si guarda l’appellativo scelto dalla persona stessa, se ne deduce il sesso, indovinandone il genere (errore anche per me, e quindi siamo d’accordo). Di esempi di donne che cercano comunità di donne (professionali o meno) come una sorta di rifugio ce n’è a bizzeffe ovunque: FB, LinkedIn. Il punto è: questa scelta si basa su criteri superficiali e non approfonditi, non conoscendo i valori che tutte le altre mila donne abbracciano. E, quindi, si fa del nerbo un fascio, che per me è un pericolo.

      👉 Non posso sindacare sulle scelte di persone che non conosco. Posso dire che ritenere le donne dotate di una marcia in più è anch’esso una forma di pregiudizio. Quello che si può fare è dare il buon esempio, e leggere per esempio testi di uomini femministi che stanno nella lotta da tanti anni e vengono per questo discriminati. Detto questo forse si sarebbe potuto aiutare un po’ la lettrice o il lettore esplicitando queste tante implicazioni che si nascondevano dietro “guerriglia”…

      2) “Penso tuttavia che la riflessione sull’identità di genere possa dirsi tanto fondamentale quanto le altre problematiche menzionate. Non sono quisquiglie quelle relative all’identità e all’autodeterminazione dell’individuo.”
      Di nuovo, concordo al 100% con te. Così come non sono quisquiglie gli studi sulla personalità e le componenti della personalità, di cui non si parla qui. Vedi come riferimento gli studi di Jordan Peterson, per citare uno studioso in questo ambito. Socrate aveva ben ragione! A questo punto, quindi, lancio io una domanda, che per me va addirittura al di sopra del “cosa è l’identità di genere”? Eccola qui: cosa è l’identità? Come mi autodefinisco? Solo rispecchiandomi nel genere, o c’è altro ancora?

      👉 A seconda della scuola di pensiero, ognuno può definire l’identità in maniera diversa. Posso parlare per me, e quindi l’identità è un poliedro costituito da molte facce: quella di genere, quella nazionale, quella politica, e in ognuna di esse ci sono mille altre sfaccettature ancora. Io mi definisco donna, ma anche atea, progressista, europea, femminista intersezionale, linguista, blogger, scrittrice. Insomma, quella del genere è una delle tante facce che costituiscono l’identità individuale che è frutto di una concreta decisione che operiamo su noi stessi. Cosa si intende per identità, insomma, dipende; per me è l’insieme di idee, convinzioni e valori che ho nei diversi ambiti della mia vita, i valori, in altre parole, che ricercherei in una comunità da cui vorrei essere accolta.

      3) “Inoltre, valutare l’importanza di una questione contrapponendola alla volontà di una persona di portare a termine un’attività”.
      Ma non è assolutamente quello che ho scritto! Quello che ho scritto io è “la volontà di una persona di portare a termine un’attività, in ambito famigliare o lavorativo, in modo etico, comunitario, appropriato al contesto e che favorisca la collaborazione tra gli individui.”. Ho quindi incluso il rispetto per se stessi e per l’altro, alla base dei rapporti aperti e pacifici, attenzione! Lo scrivevo come esempio di criterio di scelta di un partner di vita o di lavoro o di tempo libero. Inoltre, per “attività”, si può intendere anche un pensiero o l’espressione di un pensiero. Dove è la “ristrettezza”? Cosa manca?

      👉 Il rispetto per se stessi non l’avevo “scovato”, ma poco male. Io ho problemi con l’idea di ‘portare avanti un’attività’ di qualsiasi tipo in qualsiasi ambito. Non esistiamo solo per produrre un’attività, sia essa mentale o fisica, secondo me. Esistiamo anche per… esistere e basta. Cosa facciamo con gli individui che non producono e non pensano perché in difficoltà? Gli emarginati del mondo? Come le valutiamo, persone a me care, che stanno affrontando momenti terribili e quella attività, quale che sia, non la possono portare avanti? Non li scegliamo come partner di vita o di tempo libero?

      4) “Del resto, non sono certo i giovani a porsi domande del genere (mi si perdoni il gioco di parole).”
      Tutti per me, non solo i giovani, dovrebbero anche domandarsi cosa sia la autoconsapevolezza e cosa significhi, secondo loro, essere collaborativi e facilitare i rapporti interpersonali in maniera pacifica.

      👉 Ma perché dobbiamo tutti vivere in questo mondo fatto di rapporti pacifici e collaborazione? Io non ci credo, credo che prima di tutto vadano comprese le proprie idee, e poi che si combatta per esse. Nel rispetto dell’altro, certo, magari se siamo fortunati, appoggiati da qualcuno che ci sostiene, senza cadere in militarismi o violenza verbale, ma si combatte, diamine! I rapporti interpersonali non sono quasi mai pacifici, perché non siamo tutti uguali e il dibattito è il cuore della nostra democrazia. Si combatte per raggiungere i propri obiettivi, per vincere un’argomentazione, per riparare a quanto riteniamo ingiusto, per migliorare. Si combatte anche contro noi stessi, contro la stanchezza, la sfiducia! Citando l’autrice che amo di più tra tutta la letteratura che ho consumato finora: ‘Ma la vita è una battaglia!’

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      • Rieccomi 🙂

        Punti 1 e 2: stiamo dicendo la stessa cosa. Punto 3: difatti parlo di “volontà di portare a termine…” e parlo di persone in grado di farlo. Ciò che conta, per me, è l’amore per la vita e per gli altri, che può essere, come ho detto, vissuto internamente tramite sensazioni, emozioni, pensieri.

        Le persone in difficoltà o disabili vanno supportate, non ho mai detto o pensato il contrario. In passato ho trattato pazienti in coma, post-coma, autistici, persone con grave depressione e, ovviamente, le linee di demarcazione fra piena autoconsapevolezza e zero consapevolezza, vita, morte, ecc … diventano sfumate e sottili in certi casi. Tanto che esistono commissioni di etica a cui non intendo sostituirmi.

        Punto 4: quello che stiamo facendo è pace. I confronti sono pace. Le arrabbiature con ripensamenti sono pace. Chiedere scusa è pace. Rimanere sulle proprie posizioni e allontanarsi è pace. E tanto altro. Non è pace la violenza verbale e fisica, l’ossessionarsi su un punto senza ascoltare e vedere i punti di vista dell’altro, fare polemica per il piacere di farlo. Ma, di nuovo, siamo fuori tema.

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          • A me pare che tu voglia a tutti i costi travisare quello che dico e attaccare a tutti i costi. Non mi interessa avere a che fare con chi non vuole capire e polemizza per il gusto di polemizzare. Buona giornata a te 🙂

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            • Riassumo brevemente i contenuti sia dell’articolo che dei dialoghi, che si confondono nei vari interventi generando una certa confusione. Do anche per ognuna delle sei parti un giudizio riguardante solo gli aspetti formali dello scambio, non i contenuti; sono le frasi introdotte dalla freccia.
              Il compito non è stato agevole, chiedo venia per le eventuali imprecisioni. Verso la sesta parte si perde il rapporto con l’articolo di Chiara e ho riportato solo qualche intervento, tanto per dare l’idea. Fino a quel punto le divergenze mi sono sembrate lievi.

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              C.: Le nuove generazioni e gli adulti concentrano la loro attenzione di più sulla differenziazione di genere a priori, e sembra una “guerriglia”. Molte donne cercano rifugio e supporto solamente presso comunità di altre donne, pensano che “le donne abbiano una marcia in più” nel proprio lavoro per il fatto di essere donne e quindi di “esserci passate”. Questo è pericoloso.

              F.: Non voglio giudicare persone che non conosco; ritenere le donne dotate di una marcia in più è anche una forma di pregiudizio (attribuito, a quanto pare, a C.).

              à F. dà torto a C. ma per farlo propone un’obiezione inconsistente (C. parla per esperienza) e fa ricorso a un argomento, quello del pregiudizio, in realtà favorevole a C. F. rimprovera C. di non aver esplicitato il senso della metafora (“guerriglia”, in effetti poco chiara). Da notare una frase di C. di cui F. al momento non tiene conto: il concetto di genere è ben più ampio e diverso rispetto a quello di sesso.

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              C. Le scelte di cui si è parlato, di differenziazione di genere, basate sulle funzioni cognitive, sono infondate. Dal punto di vista delle differenze biologiche tra maschi e femmine, infatti, neppure le ipotizzate variazioni cerebrali segnano una diversità nelle funzioni cognitive e nell’intelligenza di maschi e femmine. Non ci sono prove scientifiche di caratteristiche mentali attribuibili fin dalla nascita ai maschi o alle femmine in quanto tali. Ciò che conta nelle differenze individuali è altro: famiglia, cultura, ambiente ecc.
              Conta anche un certo corredo genetico caratteriale dato dai genitori.

              F.: di recente molti lavori che propongono quelle leggere variazioni nella struttura cerebrale fra i due sessi sono stati smentiti in maniera puntuale da altri studi.La questione del corredo genetico è spinosa, fa riferimento al DNA ecc.

              à L’aggiunta relativa alle variazioni nella struttura cerebrale non contraddice fondamentalmente l’assunto di C., ma lo precisa. Analogamente, l’osservazione sul corredo genetico approfondisce la questione senza contraddire C.

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              C.: Non sono le differenze fisiologiche e fisiche tra maschi e femmine a decidere se creare o no una comunità. Che fine farebbero valori come l’empatia, la delicatezza, l’ascolto ecc.?

              F.: È tempo di mettere a fuoco una differenza fondamentale fin qui accennata, ma dall’articolo piuttosto ignorata: la distinzione tra sesso biologico e identità di genere. Occorreriflettere sulla nostra identità di genere, esercitando il nostro diritto all’autodeterminazione [C. è d’accordo, lo dice rispondendo; si chiede anche: cosa è l’identità di genere?]. Per F. l’identità di genere è l’insieme di idee, convinzioni e valori che ho nei diversi ambiti della mia vita; i valori, in altre parole, che ricercherei in una comunità da cui vorrei essere accolta.

              à come detto, C. ha già parlato, ma velocemente, della differenza tra genere e sesso. La risposta di F. sull’identità di genere è completa e in effetti arricchisce il dialogo.

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              C.: Chi non vuole che esista a livello concettuale la divisione maschile/femminile fa bene a chiedere la categoria del neutro, eliminando la dicotomia di genere.

              F.: Chi propone l’uso di un linguaggio inclusivo non vuole annullare le differenze di genere, ma, al contrario, le vuole rispettare.

              à C. non ha inteso proporre l’annullamento delle differenze di genere ma la discriminazione a danno delle donne. Per F. un linguaggio inclusivo vuole eliminare la discriminazione del femminile (F. porta l’esempio della schwa). Tutte e due propongono in pratica la stessa cosa.

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              C.: qual è la ragione di fondo per cui non si vuole più fare esplicito riferimento alle evidenti caratteristiche, quantomeno fisiche, femminili/maschili di una persona? Forse per evitare discriminazioni, o perché la differenza maschile/femminile ha perso importanza?

              F.: Il motivo è la disforia di genere, cioè quando l’esterno non sempre combacia con l’interno. La lingua deve far riferimento a ciò che ci sentiamo e non a ciò che appariamo.

              à La risposta alle domande di C., che erano sincere e non tendenziose, è chiara e completa.

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              C.: Auspica l’autoconsapevolezza dei giovani e la volontà di una persona di portare a termine un’attività, in ambito famigliare o lavorativo, in modo etico, comunitario, appropriato al contesto e che favorisca la collaborazione tra gli individui in maniera pacifica.

              F.:  C’è “ristrettezza” in questo ragionamento. Il rispetto per se stessi non l’avevo “scovato”, ma poco male. Io ho problemi con l’idea di ‘portare avanti un’attività’ di qualsiasi tipo in qualsiasi ambito. Non esistiamo solo per produrre un’attività, sia essa mentale o fisica, secondo me. Esistiamo anche per… esistere e basta. Cosa facciamo con gli individui che non producono e non pensano perché in difficoltà? Gli emarginati del mondo? I giovani, inoltre, non si pongono domande sulla loro consapevolezza.

              à Questa parte appartiene al dialogo e non all’articolo. Si fa fatica a rinvenire un terreno tematico comune. La frase portare avanti un’attività’ di qualsiasi tipo in qualsiasi ambito di C. viene del tutto stravolta. C. non si rifaceva a tutta la società, sottolineando l’importanza della “produzione”, e non proponeva di aumentare le discriminazioni e le emarginazioni. Propone la collaborazione tra gli individui in maniera pacifica; ciò presuppone la solidarietà, l’aiuto reciproco ecc.
              Ciò che segue, da parte di F., contraddice questo argomento di C.

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