Nasceva oggi Honoré de Balzac, un genio ipertrofico

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Honoré de Balzac

Esagerato in tutto, questo Honoré! Rotondetto e in sovrappeso, sempre a caccia di amori con donne spesso più anziane, smanioso di gloria, fallimentare in ogni iniziativa imprenditoriale, stracolmo di debiti per tutta la vita, amante del lusso, capace di trincare litri di caffè al giorno, e autore di un numero impressionante di romanzi. E tutto ciò in una vita piuttosto breve, che appena supera i 50 anni. Allora vediamolo un po’ più da vicino, questo dinosauro della letteratura, con l’auspicio che qualcuno lo (ri)prenda in mano.

Era nato a Tours il 20 maggio del 1799 da un padre cinquantatreenne e una madre di 22 anni più giovane, che non si affezionò mai a questo figlio che non doveva essere un adone. Così che Honoré fu presto messo a studiare nel collegio di Vendôme, dove la vita non era proprio una vacanza! Gli allievi non potevano recarsi in città, i genitori non potevano visitarli, ma in compenso abbondavano rimproveri e punizioni a base di bacchettate sulle dita, di innumerevoli compiti e permanenze in cellette di 1 metro quadro…

La mia collezione di Balzac!

Nel 1814 Balzac giunse a Parigi per iscriversi alla facoltà di diritto, facendo pratica presso un legale. Ma poi, stufo di archivi e del grigiore di una vita piatta, a vent’anni si installò in una mansarda, col desiderio di conquistare fama, denaro e amore, pronunciando per sé la celebre frase di sfida di Rastignac alla città: a nous deux maintenant! Ma se la gloria non giunse con la mediocre commedia Cromwell, Balzac si consolò tra le generose braccia della signora de Berny (di nome Laura, come la madre e la sorella!), anche se non era proprio una verginella, visto che aveva 7 figli più due nati morti, quando assunse il focoso precettore. Ma benché lo precedesse di un ventennio (e qui non ci vuole Freud…), Balzac visse con la sua “Dilecta” un grande amore durato 13 anni, in cui lei gli fece da madre, amante e amica, invocandolo ancora sul letto di morte, quando lui si trovava in Italia, e non lo seppe nemmeno…

Sempre incaponito a cercare un successo, artistico o finanziario che fosse, la trottola irrequieta si era intanto gettata in una serie di imprese e speculazioni sbagliate: prima tentando la fortuna col romanzo popolare; e poi con la creazione di una tipografia e di una fonderia, che a 26 anni lo fecero sì “ricco”, ma solo di una tale quantità di debiti che non sarebbe mai riuscito a pagare. Intanto, però, se non quello economico, era arrivata la notorietà con gli Chouans, apparso nel 1829 e seguito da Fisiologia del matrimonio, che aprirono un periodo di circa vent’anni, nel corso del quale Balzac compose una novantina di romanzi. Raggiunta la gloria con Scene della vita privata e La pelle di zigrino del 1831, si sfrenò in una vita da dandy, con carrozza e cavalli, bastone con pomello d’oro, domestici in livrea e palco all’opera, e una mania per l’arredamento sontuoso. Ma non per questo smetteva di lavorare, soprattutto di notte, con una caffettiera di porcellana a portata di mano, mentre inanellava storie amorose. Non senza qualche fiasco: come quello con la marchesa de Castries, che lo trattò un po’ da cagnolino prima di mollarlo bruscamente, beccandosi la vendetta letteraria ne La duchessa di Langeais (1834). A cui seguirono presto altri capolavori come Il curato di Tours, Il medico di campagna, Eugenia Grandet.

Ma non erano certo le spasimanti a mancare a questo pancione volgarotto e pantagruelico, che con rapidità prendeva fuoco, forse a risarcimento dell’amore inutilmente mendicato da bambino, e che quando si innamorava, lo faceva con una dedizione così totale che ogni volta era convinto che si trattasse dell’amore più grande (in questo molto simile al nostro Foscolo). Così non stupisce se nel 1832 si infiammò per una lettera anonima proveniente da Odessa, da parte di un’ammiratrice. Si trattava della contessa Eva Hanska, una nobile straricca ma sposata, che in Ucraina conduceva una vita principesca, con 2000 domestici e una tenuta di 20.000 ettari. Dopo averla incontrata una prima volta col marito a Neuchâtel, e presto infiammatisi, gli amanti si rividero a Ginevra, a Vienna e poi in giro per l’Europa, travolti da un amore folle e intermittente, ma saldato dall’enorme corrispondenza. Furono 10 anni di incontri, suppliche, temporeggiamenti. Che però non interruppero né i viaggi né l’ardimentosa produzione di Balzac: che dopo un fallimentare soggiorno in Italia, dove criticò tutti e tutto, compreso Manzoni, continuò a sfornare capolavori come Cesare Birotteau, Le illusioni perdute, Splendori e miserie delle cortigiane. E infine nel 1841 ideò lo schema complessivo della Commedia umana, che nel suo progetto avrebbe dovuto comprendere 137 romanzi, con personaggi che transitano da uno all’altro libro, ma che alla fine risulterà composta da “soli” 91 romanzi!

Quindi, ripreso fuoco alla notizia che “la straniera” (come era solito definire) era rimasta vedova, si recò a Pietroburgo con quella che da allora in poi divenne un’idea fissa, ossia di convolare a nozze con lei. Cosa non agevole, a causa delle leggi russe che vietavano i matrimoni con stranieri, per evitare la fuga di capitali all’estero… e si contentò per ora di incontrarla a Dresda, dove Eva partorì un figlio nato morto. In attesa del ricongiungimento definitivo ammobiliò con grandi spese la casa per riceverla degnamente, ma senza smettere di scrivere e pubblicare: La cugina Betta e Il cugino Pons sono tra gli ultimi guizzi della grande stagione creativa in esaurimento, insieme alle forze stesse dell’autore. Che spossato da una vita massacrante e eccessiva, dopo 16 anni di corteggiamenti riuscì finalmente a impalmare la sospirata contessa.

Fu un matrimonio in extremis, e perciò non destinato a durare, ché il destino di Balzac era ormai segnato da una diagnosi di ipertrofia cardiaca. Appena giunti a Parigi nel maggio del 1850, si mise infatti a letto per non lasciarlo più. Alle sofferenze già atroci si aggiunsero soffocamenti e gonfiore degli arti, che pazientemente accettò come “il prezzo per l’immensa felicità del matrimonio”. Il 5 agosto, per aver battuto contro un mobile, una gamba si infiammò e si sviluppò in cancrena. Il 18 Balzac entrò in agonia, e morì dopo aver ricevuto l’estrema unzione, assistito dalla “straniera”. Qualche giorno prima aveva ricevuto la visita di Hugo, che poi l’avrebbe narrata, e che ai funerali ne fece un magnifico elogio funebre.

A cinquant’anni Balzac aveva pubblicato un numero impressionante di romanzi, tra cui molti capolavori, e raggiunto l’amore ultimo. Ma ormai si sentiva svuotato. Aveva profuso tutto se stesso in un’opera gigantesca, studiando con acribia gli ambienti da descrivere, prima di sbrigliare la fantasia su tutta la realtà del tempo. Facendo “concorrenza allo stato civile”, creò una folla di circa 2000 personaggi di tutte le classi sociali, mossi da passioni diverse, ma tutti presi dal desiderio di vivere con un’intensità costretta a fare i conti col maledetto vortice del denaro. Tanto che la maggior parte delle delusioni crollano al cozzo tra i sogni generosi e la dura realtà del capitale, contrasto sviluppato in uno stile colorito che mescola pathos a toni riflessivi. Ma pur con tutte le sue inevitabili disuguaglianze, la Commedia umana, questa risposta terrena al poema dantesco, trabocca di vita e di calore, espressione della forza del costruttore e della sua genialità creativa.

Detto questo, rimane ancora da capire come questo genio debordante abbia realizzato un’opera così colossale…

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