Viaggio in Lituania con i racconti di Daina Opolskaitė

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In questo nostro percorso nella letteratura nordeuropea, iniziato due mesi fa con un affondo in Svezia grazie al romanzo di Lars Gustafsson, è ora la volta di compiere una tappa nei Paesi baltici, universi discosti e ancora troppo lontani dall’interesse dei lettori italiani ma che per merito della casa editrice Iperborea sono proiettati in un più ampio orizzonte di conoscenza. Ed è proprio dal più grande dei tre stati, la Lituania, che prendiamo le mosse affrontando l’opera di Daina Opolskaitè, scrittrice di lungo corso della letteratura della sua nazione, già insignita nel 2016 del premio Letteratura per l’infanzia dal Ministero dell’Istruzione per replicare tre anni dopo con il Premio letterario dell’Unione Europea. Opolsakitè è tra le penne più note e apprezzate dei testi per bambini ma ha saputo farsi conoscere anche nella letteratura per adulti con una prosa acuta, che esamina certa psicologia delle relazioni umane offrendo un interessante spaccato della società del tempo e del suo ambiente.

Nello specifico con Le piramidi dei giorni, raccolta di racconti apparsa qualche anno fa proprio con il marchio Iperborea (e l’elegante traduzione dal lituano di Adriano Cerri) la scrittrice indaga le dinamiche sociali (in famiglia, tra le amicizie, tra persone sconosciute) puntando su alcuni sentimenti caratterizzanti: la nostalgìa intesa nella sua accezione semantica quale dolore, sofferenza per l’impossibilità di un ritorno in un luogo o in un tempo predefiniti, la malinconia che pervade molti dei protagonisti e dei deuteragonisti, un senso di soffocamento per alcuni meccanismi che paiono incepparsi o usurarsi. Dieci i racconti contenuti nel volume, alcuni lunghi, altri più brevi, che riescono in ogni caso a fornire un’ideale concezione dello sviluppo della narrazione. “Il piacere della vita sta nelle piccole cose” afferma uno dei personaggi ed è in ciò, quasi pascolianamente inteso, che va concepito l’intero corpus dei fotogrammi narrativi che si trova di fronte il lettore: sorelle che si rincontrano superando faticosamente le incomprensioni del passato, figlie che dopo un lavorìo sotterraneo cercano un contatto con la madre, amori che si accendono per poi naufragare finendo per contorcersi nell’assenza, padri che ricorrendo al mondo onirico riescono a recuperare il rapporto ormai sfilacciato con i figli. Sono “piramidi dei giorni”, per usare il titolo del libro, quelle che si dipanano tra le pagine dei racconti: i rapporti personali vivono intensi, in perenne tensione per un colpo di scena, un improvviso scarto del destino, una soluzione inaspettata.

Daina Opolskaitè

Nel secondo dei testi presentati si palesano contesti familiari resi complicati dalle spigolosità caratteriali con un senso costante di claustrofobia e dove il passato, rimosso inconsciamente, assurge a elemento esiziale e decisivo di una giovane esistenza. “Spesso mi viene voglia di scappare. Spesso penso che qualcuno si sia sbagliato a mettermi in questo posto, in questa casa, dev’essere un errore che io stia qui a guardare sbocciare i fiori delle peonie fuori dalla finestra” dice una delle protagoniste nella vicenda in cui reagisce alle sortite dei familiari innescando un coacervo di sentimenti contrastanti. L’Io narrante, in Opolsakitè, si alterna nei vari racconti alla voce del narratore coinvolgendo così il lettore in un affondo all’interno delle dinamiche sociali narrate. Come accade spesso nella letteratura nordeuropea anche qui ambiente e natura sono sfondi necessari, imprescindibili delle azioni che si svolgono in primo piano, sfondi non asettici o semplicemente scenografici ma presenze vive e importanti. “Che cos’è il tempo? Soltanto un intervallo insignificante” asserisce uno dei personaggi: quel tempo, in fondo, è riempito dai sentimenti, dalle piccole e talvolta insignificanti vicende quotidiane capaci di imprimere una svolta alla stessa nostra esistenza.

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