«Maleficent»: il senso delle riscritture, e altre storie librose…

Una settimana di letture #139

6–9 minuti

Come vi accennavo nell’ultima rassegna, l’autunno è uno dei pochi periodi dell’anno in cui mi avvicino a generi letterari che solitamente frequento meno: il fantasy, l’horror, il thriller e il poliziesco. Non vale solo per la lettura, in realtà, ma anche per i film o le serie tv il cui tema oscilla un po’ di più verso il tenebroso, l’oscuro, l’intimo. 

Non sono una grande esperta di cinema, specie se d’autore, o italiano. Per me, i film sono principalmente un modo per svagarmi, quindi tendo a preferire quelli più leggeri, spesso legati alla cultura popolare di specifici periodi, che possono andare dalla seconda metà del Novecento (amo molto i film di Hitchcock) alle opere più contemporanee (ho apprezzato moltissimo Il piacere è tutto mio oppure Top Gun: Maverick).

Aurora incontra Maleficent

In autunno mi piace andare a riscoprire titoli passati, un po’ degli stessi generi dei libri. Primo fra tutti c’è il poliziesco, e mi vado a riguardare qualche film tratto da romanzi di Christie, oppure qualche Maigret. Poi ci sono i thriller, genere forse a me più sconosciuto, per cui sto iniziando a rivedere La verità sul caso Harry Quebert. E poi, forse primo in ordine di importanza, il genere fantasy: Game of Thrones, Atlantis (il cartone animato, ovviamente), Harry Potter, oppure la saga di Twilight. Sono film che per la maggior parte appartengono alla mia adolescenza e mi piace rivederli anche per capire come li assorbo, come li capisco, adesso, alla luce degli anni che passano. 

Perché vi racconto tutto questo? Perché proprio ieri ho guardato per la prima volta  Maleficent, film del 2014 con Angelina Jolie come attrice protagonista. L’ho scelto per caso: youtube mi aveva proposto alcuni reel con degli estratti del film e sia l’atmosfera, sia il casting, sia i dialoghi mi avevano incuriosita.

Per i pochissimə che non lo hanno ancora visto (fatelo!) Maleficent è una rilettura della Bella addormentata nel bosco, fiaba lungamente reinterpretata nella cultura europea (per esempio dai fratelli Grimm) e poi portata dalla Disney sul grande schermo nel lontano 1959. 

Questa nuova versione, come suggerisce il titolo, è narrata dal punto di vista dell’antagonista della principessa Aurora, ossia Maleficent (la strega Malefica, per chi come me aveva visto solo la versione italiana), autrice della maledizione che avrebbe condannato la giovane ad addormentarsi dopo essersi punta sul fuso di un arcolaio, in attesa del bacio del vero amore. 

Perché Malefica odia tanto Aurora e i suoi genitori? Quale trauma, incomprensione, capriccio si nasconde dietro il suo agire? Maleficent fa un passo indietro creando un retroscena narrativo che spiega le ragioni di quella che noi siamo stati abituati a chiamare “strega”, ma che in realtà era una delle fate più potenti del suo mondo. Un mondo magico, meraviglioso, colorato, ma sempre in lotta con il vicino regno degli uomini, avidi di conquistarne i segreti e il potere. Malefica cresce in questo mondo, piena di vita e con un carattere forte ma al tempo stesso amabile: ama volare attraverso le gole lussureggianti della vallata e poi su in alto fino al cielo, oltre le nuvole, lì dove il tramonto riflette le sue sfumature nell’atmosfera. 

La svolta avviene quando Malefica viene tradita da un giovane uomo, Stefan, al tempo appartenente al popolo basso, ma destinato a diventare il padre di Aurora. L’attuale re, dopo uno scontro con il mondo magico, è in punto di morte e promette il trono e la mano della figlia a chiunque gli porti il cadavere di Malefica. Stefan, che da ragazzino aveva stretto un’amicizia intima con la fata, la raggiunge nel suo mondo per ucciderla, la addormenta, ma alla fine non riesce a sferrare il colpo finale. Peggio della morte però, per ingannare il re morente, le recide le ali. Malefica è consumata dal dolore e dalla rabbia non solo per il tradimento ma per aver perso la capacità di volare, per non poter essere più libera, non poter essere più la fata potente che è sempre stata. La rilettura della fiaba originale si fa interessante  non solo per questo retroscena inedito, ma anche per il rapporto che Malefica instaura con Aurora. Quest’ultima, portata nella foresta dalle fatine ancora in fasce, si lega alla fata, ignara della maledizione che incombe su di lei e la chiama fata madrina. Solo dopo ci sarà lo svelamento, quando ormai Malefica ha sviluppato per Aurora un affetto potente e materno, anche se la maledizione che le ha scagliato quando ancora era bambina non potrà essere richiamata. 

Inutile raccontarvi come andrà a finire la vicenda, se volete guardate il film, perché è interessante secondo me notare questo gioco continuo tra richiami evidenti e puntuali ai dettagli anche visivi dell’originale, e il suo rimodellamento in funzione della riscrittura narrativa: non sarà per esempio il principe a svegliare con il suo bacio Aurora, e quel corvo che aleggia sempre attorno alla strega, qui ha un ruolo fondamentale e una psicologia molto curiosa, è forse l’unico vero confidente della protagonista. 

Ecco, Maleficent mi ha fatto un po’ ripensare al concetto di rilettura. È un film che riprende in mano la tradizione fiabesca europea per rivederla in chiave moderna, e offrire una narrazione più equilibrata, dove le donne non sono solo dolci principesse in attesa di essere salvate, ma animi forti, capaci di rabbia cieca e profonda, giustificata da una psicologia ben costruita. E mi sono detta che, se avessi una figlia, non mi dispiacerebbe mostrarle anche questa versione perché, al di là dell’intento che si propone, è proprio un bel film, funziona bene. 

La rilettura, il rifacimento di opere precedenti, non è certo limitata ai film, è sempre esistita la riscrittura anche in letteratura, basta pensare a Shakespeare o a tutta la mitologia ripresa nell’epoca moderna. Nella narrativa contemporanea la riscrittura di classici è di moda, basti pensare a La canzone di Achille o Circe di Miller. Di entrambi i due testi ho avuto per le mani alcuni estratti e non mi hanno fatto particolarmente battere il cuore. Allora mi sono chiesta, qual è il problema? Può essere che la presenza di una “tesi” dietro la riscrittura oscuri il potere narrativo del libro? In realtà a darmi fastidio erano piuttosto i dialoghi piatti, lo stile scialbo: il problema non era la riscrittura ma la scrittura! 

In realtà quello di cui mi sono resa conto ieri sera è che la riscrittura come tentativo di rimodellare un topos in funzione di istanze più moderne può avere un senso, ma solo nella misura in cui al centro dell’operazione non ci sia solo e unicamente il messaggio. Il prodotto finito, insomma, non può essere una dimostrazione a tesi, ma un’opera di narrativa, o un film, con una storia credibile, dei personaggi ben strutturati, e una buon equilibrio tra innovazione e richiamo alla tradizione. 

Maleficent funziona perché la sua è una storia credibile, che si snoda attorno a un nucleo narrativo prefissato per aggiungere dei motivi e degli episodi nuovi. La rabbia di Malefica che nella fiaba non ha ragion d’essere viene spiegata alla luce del suo passato, grazie anche ad un’attrice molto brava, capace di gestire dialoghi brevi ma complessi, e dotata di un’espressività facciale che fa metà del successo del film. Intelligente è anche la scelta di curare gli effetti speciali, senza però calcare troppo la mano: non sono loro i protagonisti della pellicola. 

Insomma, volevo condividere con voi queste riflessioni. Va detto che non ho letto la versione dei Grimm, quindi sarebbe interessante approfondire come la fiaba sia cambiata nel tempo, dalla prima versione alle moderne riscritture, magari in un prossimo articolo. Ma per ora, concentriamoci sulla rassegna dei contenuti di questa settimana.

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