
L’appartamento di Hercule Poirot era arredato in uno stile essenzialmente moderno. Scintillava di cromature. Le sue poltrone, per quanto confortevolmente imbottite, avevano una linea squadrata e senza compromessi.
Proprio al centro di una di queste poltrone stava seduto, ordinato e composto, Hercule Poirot. Di fronte a lui, in un’altra poltrona, sedeva il dottor Burton, professore dell’All Souls, intento a sorseggiare con aria da intenditore un bicchiere di Château Mouton Rothschild offertogli da Poirot. Non c’era niente di ordinato e composto nel dottor Burton. Era grassoccio, trasandato e, sotto un ciuffo di capelli bianchi, il faccione rubizzo irradiava bonarietà. Aveva una risatina chioccia, profonda e un po’ ansante e l’abitudine di ricoprire se stesso e quanto gli stava intorno di cenere di tabacco. Invano Poirot lo circondava di portacenere.
Il dottor Burton stava facendo una domanda:
«Spiegatemi» chiese. «Perché Hercule?»
«Il mio nome di battesimo, volete dire?»
«Un po’ difficile parlare di battesimo, in questo caso» obiettò l’altro. «Un nome inequivocabilmente pagano. Ma perché? Ecco quello che vorrei sapere. Un ghiribizzo del papà? Un capriccio della mamma? Ragioni di famiglia? […]»
Agatha Christie, Le fatiche di Hercule

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