Charlotte Brontë: vigore e curiosità di un animo indomito

Questo articolo esce all’interno della nostra rubrica I profili


Ad alcuni scrittori o scrittrici ci lega un’affinità intima, profonda, spesso solo in parte giustificata dall’ammirato giudizio estetico con cui ne consideriamo le opere. Eppure, la loro voce letteraria, le tematiche, i personaggi, muovono le corde della nostra individualità, che tra quelle pagine trova riflesse la stessa emotività e la stessa serie di ideali che la contraddistinguono.


È questo tipo di rapporto che mi lega, come sa chi ci segue da un po’, a una scrittrice inglese le cui parole mi hanno sempre donato comprensione e forza, da moltə ritenuta, per le sue protagoniste, una femminista ante litteram, e di cui oggi si celebra il 168° anniversario della morte: Charlotte Brontë.


Considerata dalla critica una delle punte più pregevoli della letteratura vittoriana, Charlotte Brontë nacque il 21 aprile 1816, a Thornton, un paesino sperduto dello Yorkshire. Il padre, Patrick Brontë, era un pastore protestante di origine irlandese, mentre la madre, Maria Branwell, lavorò come insegnante in una scuola religiosa. Seppur dotata di una salute cagionevole, Maria mise al mondo, oltre a Charlotte, altri 5 figliə, tra cui un maschio, prima di morire giovanissima, nel 1821. Il piccolo e le sorelle furono affidatə così alla cura di un padre la cui fervente vita intellettuale (era stato anche rettore a Hawthorn) e la dedizione alla cultura convivevano con un carattere eccentrico, per cui trascorreva giornate intere nel proprio studio, isolato dal resto della famiglia. Questi decise, nel 1824, di mandare tutte le ragazze, eccetto Anne, ancora troppo piccola, in un collegio (Clergy Daughter’s School di Cowan Bridge) a buon mercato per figlie di religiosi, affinché ricevessero un’educazione ritenuta indispensabile, in un’epoca in cui a studiare erano solo i maschi. Un’idea senza dubbio lungimirante, senonché il posto si rivelò presto un incubo per le sorelle Brontë: il cibo era scarso e rivoltante, le norme igieniche inesistenti e la disciplina rigida oltre ogni buonsenso. Per la salute delle quattro, l’esperienza ebbe risultati disastrosi, che si trasformarono in irreversibili nel 1825, quando, a un mese di distanza l’una dall’altra, le due maggiori, Maria ed Elizabeth (rispettivamente di 10 e 11 anni), morirono, vittime delle pessime condizioni in cui erano state costrette a vivere.

L’accaduto, e l’ulteriore deterioramento della salute di Charlotte ed Emily, convinsero il padre a riportarle a casa, dove, rimessesi in forza e riunitesi alla piccola Anne, iniziò per loro un periodo sereno, in cui attecchirono i primi semi della loro attività letteraria, e, con essa, del mito delle sorelle Brontë.
La loro fu una formazione priva di metodo, eppure le tre si mostrarono incredibilmente precoci nell’esprimere una spiccata ed eclettica creatività che investì sì la scrittura, ma anche la pittura: insieme presero a vivere in un mondo parallelo, fantastico, fatto di storie, sogni, e paesi lontani, ispirati dalle letture che il padre le lasciava libere di scegliere, senza censura alcuna. Da questo comune orizzonte di esperienze e immaginazione vide la luce nel 1846, proprio sotto insistenza di Charlotte, Poems by Currer, Ellis and Acton Bell, una raccolta di poesie, nascosta dal velo di tre pseudonimi, il cui sostanziale insuccesso le convinse a concentrarsi sulla forma del romanzo.

Tra loro Charlotte fu certamente la più prolifica, e abbastanza intraprendente da viaggiare oltremare. Nel 1842 si era iscritta a un collegio a Bruxelles, dove tornò in seguito per vestire però i panni di istitutrice. E fu proprio in questa occasione che conobbe quello che può essere a tutti gli effetti definito l’amore della sua vita: Constantin Héger, preside dell’istituto, che non avrebbe mai ricambiato il suo sentire. Ma era un altro il vero impedimento, dacché l’inflessibile codice morale di Charlotte non le avrebbe mai concesso di perseguire alla luce del sole l’affetto di un uomo sposato. Eppure la fermezza del carattere non comportò mai in lei la morte delle emozioni: l’amore inappagabile per Constantin perdurerà sotto forma di una ferita impossibile da rimarginare nella vita reale, ma sanata in quella letteraria. Fu ne Il professore e in Villette, il più completo dei suoi romanzi, che Brontë creò per se stessa il lieto fine a una storia che la tormentò per tutta l’esistenza. In realtà, la sofferenza per l’amore non realizzato nei confronti di un uomo sposato, e la dolorosa ma necessaria rinuncia, riverbera, seppur lontana dal mondo del collegio, anche in Jane Eyre.

La produzione artistica di Brontë si distingue per l’originalità di temi e di stile rispetto a quella del suo tempo. Anziché soffermarsi sulle questioni sociali, che pur fanno da sfondo in Shirley, la sua ambisce piuttosto a scandagliare la vita interiore dei personaggi e delle personagge, riportata a galla attraverso una fine capacità di introspezione, esercitata con lucidità prima di tutto su se stessa. Va detto infatti che, nonostante il fisico minuto, Charlotte era dotata di un animo energico e determinato, consapevole dei doveri, ma al contempo teso a realizzare i propri desideri. Donna dall’irrefrenabile curiosità intellettuale, la contraddistingueva un’indole caparbia, in grado di dominare le passioni, senza mai ridurle a comodo cinismo. Da esse trasse invece la forza per battersi con successo affinché la società riconoscesse l’indipendenza della sua scrittura: non più oscurato da alcun pseudonimo, il suo vero nome raggiunse i salotti inglesi più popolari. Eppure anche allorché il successo la investì, il buon senso le impedì di esserne travolta.

Questa commistione di emozioni rette da un intelletto fermo e curioso è sapientemente rappresentata in Villette dalla straordinaria personaggia di Lucy Snowe; e fu dunque immergendomi da lettrice nei pensieri di questa protagonista che Brontë divenne la mia scrittrice preferita, quella tra le cui pagine trovo un animo affine, capace di farmi sentire un po’ meno sola. Poiché è qui che troviamo la più importante lezione lasciataci da Brontë, ovvero che intelletto ed emozioni non sono due elementi di una stessa opposizione, ma entrambi punti di forza cui attingere nei momenti difficili. La figura di donna qui proposta è rivoluzionaria perché dotata al contempo di una mente lucida e pragmatica, che non rinuncia a una vigorosa passione del sentire.

Di non minor qualità sono tuttavia gli altri romanzi: Jane Eyre (1847), che la rese famosa, sebbene io non apprezzi troppo l’eccessivo debito alla letteratura gotica e il continuo intervento della Provvidenza che schiaccia la protagonista; Shirley (1849), forse l’opera meno convincente, ma comunque notevole, per la raffigurazione originale di una protagonista a capo di un’intera azienda, costretta a confrontarsi con la rivoluzione industriale e le rivolte dei contadini; e, infine, Il professore, pubblicato postumo, nel 1857, rivoluzionario per il riuscito tentativo, insolito per l’epoca, con cui la scrittrice veste i panni di un uomo, raccontandone le vicende in prima persona.
E chissà quale sviluppo avrebbe intrapreso col tempo la sua vena creativa! Ahimè, così come gli altri membri della famiglia, anche Charlotte morì giovanissima, il 31 marzo 1855, a soli 39 anni, lasciando a noi lettori e lettrici il profilo di una scrittrice innovativa, e di una donna straordinaria, sottratta alla vita troppo presto.

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4 commenti

  1. […] Ricorreva venerdì il 168° anniversario della morte di Charlotte Brontë, autrice inglese da molti considerata una delle punte più pregevoli della letteratura vittoriana. A lei ho dedicato un articolo per la nostra rubrica I profili, in cui vi racconto un po’ della sua vicenda biografica, delle sue opere, e del perché la considero la mia autrice preferita. Potete leggere il mio contributo qui: Charlotte Brontë: vigore e curiosità di un animo indomito […]

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