Come si costruisce una biblioteca democratica?

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In un’epoca come la nostra, in cui il problema della disaffezione politica è sempre più pressante, vale la pena chiedersi: che ruolo può avere la lettura nella formazione dei cittadini e delle cittadine delle moderne democrazie? Possono romanzi, poesie, saggi e opere di teatro avere un impatto sulle scelte politiche e sul modo in cui si concepisce la convivenza civile? Su queste questioni si interrogano gli autori e le autrici inclusə in una raccolta di molto ben strutturata, apparsa quest’anno per Einaudi: La biblioteca di Raskolnikov: libri e idee per un’identità democratica, curata da Simonetta Fiori, saggista e giornalista culturale di «La Repubblica». 

Di questa raccolta, prima ancora dei nomi dei/-lle singolə partecipanti, mi ha intrigato il presupposto da cui nasce: l’idea, ovvero, che la lettura di alcuni libri, non necessariamente saggi, possa educare all’ascolto, alla comprensione dell’altrə e all’osservazione di comportamenti umani che magari troviamo sgradevoli, ma di cui dobbiamo tener conto per convivere efficacemente. Lo scopo è dunque di elencare letture che possono avvicinare l’altrə alle sfaccettature dell’animo umano, che, per quanto fastidiose o strane, la democrazia deve riuscire in qualche modo a includere nel proprio sistema.

Il filo rosso che tiene insieme questa antologia è quanto mai attuale. Sono infatti discusse tematiche come il rapporto tra giovani e politica, tra scienza e governo, tra storia e futuro, e il dilagare del populismo, combustibile e risultato di una diffusa disillusione nel ruolo di cittadinə. Certo, l’amore per la res publica non può essere imposto dall’alto, ma le storie e i romanzi possono riaccendere l’interesse per la vita politica nella sua forma più basilare.

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Il tema è, come detto, attuale; eppure, a dimostrare cosa sia un classico, i libri citati non appartengono alla contemporaneità. Nessun saggio sull’arrivo di Trump, sulle derive di destra in Italia o sulla cultura woke. No, i testi menzionati nella raccolta sono spesso romanzi, raccolte poetiche e solo raramente saggi, spesso scritti in un secolo passato.

Ognunə degli/-le intellettuali inclusə da Fiori presenta la propria biblioteca democratica: un insieme di opere che, per ragioni diverse, si ritiene possano far riscoprire la storia, i principi e i presupposti della democrazia moderna. Si tratta di nomi più o meno conosciuti, appartenenti a vari ambiti del sapere umano, sia umanistici che scientifici, e quindi con preferenze influenzate dai loro campi di competenza. Negli otto capitoli che compongono il libro, si raccontano:

  • Luciano Canfora, storico e intellettuale, esperto di ricezione moderna del mondo classico.
  • Franco Cardini, esperto di storia medievale e del rapporto tra cultura cristiana e musulmana.
  • Elena Cattaneo, farmacologa e biologa, direttrice di un progetto sulle cellule staminali.
  • Anna Foa, storica cresciuta nella cultura della Resistenza, esperta di caccia alle streghe e memoria della Shoah.
  • Nicola Lagioia, scrittore ed ex direttore del Salone del Libro di Torino.
  • Marco Revelli, professore ordinario di scienze politiche, interessato al rapporto tra Novecento e «ultra-Novecento».
  • Aldo Schiavone, storico e saggista, interessato all’espansione della cultura occidentale nel mondo.
  • Gustavo Zagrebelsky, giurista e costituzionalista, giudice costituzionale dal 1995 al 2004.

Profili diversi riflettono da prospettive differenti su interrogativi centrali: quando ha iniziato a crollare il sistema democratico? Come possiamo arginare questo processo? La risposta è unanime: costruendo biblioteche e leggendo, (i classici, ma non solo). 

Avrete capito che il libro mi è piaciuto molto, sia per l’approccio che lo contraddistingue, che condivido pienamente, sia per la varietà di argomentazioni. Lascio a voi, se vorrete, la scoperta dei singoli libri proposti (e non sono pochi). Alcuni capitoli mi sono rimasti impressi, come quello di Zagrebelsky, che riflette sulla disaffezione e sui populismi, o quello di Elena Cattaneo, che esplora il rapporto tra scienza e politica alla luce dei fatti accaduti durante l’epidemia di Covid.

Particolarmente intrigante è stato il primo capitolo scritto da Nicola Lagioia. La domanda e la risposta attorno a cui ruota il testo appaiono quasi in contrasto con l’intero presupposto dell’antologia: la letteratura può davvero essere “utile” alla democrazia? In altre parole, devono autori e autrici scrivere per “insegnare” a essere buonə cittadinə? È suo il compito di educare? La risposta per Lagioia è evidentemente negativa, poiché il senso dell’opera letteraria in quanto tale non risiede nella persuasione a una tesi. Tale convinzione l’autore l’ha maturata grazie alla lettura di classici quali Kafka, Woolf e Dostoevsky. Quest’ultimo ha giocato un ruolo fondamentale per comprendere come l’opera letteraria debba dissacrare, mettere a nudo verità scomode, lati dell’uomo che preferiremmo nascondere, ma si distingue in quanto «sempre (se vale qualcosa) si contrappone alla retorica persuasiva del discorso pubblico». Grazie al velo della finzione, i romanzi possono mentire, creare situazioni altre e nel farlo dire qualcosa sulla realtà, ma sempre tenendosi lontani da scopi edificanti di alcun tipo. La letteratura «condivide insomma con il discorso pubblico l’alfabeto, non il suo uso». È un discorso interessante che non eccede però in uno sfacciato edonismo estetico: lo scopo della letteratura per Lagioia non è solo quello di generare bellezza, ma anche di permettere al lettore di osservare senza giudicare alcuni aspetti tetri della nostra specie.

«La letteratura ci fa sentire tutti nella grande barca dell’umanità. Immerso nei romanzi, arrivavo (come tante e tanti prima e dopo di me) a empatizzare con assassini (Raskolnikov), pedofili (Humbert), mitomani (Emma Bovary), proletari (Cosetta), imperatori (Adriano), anime oscure (Heathcliff), spiriti demoniaci (Macbeth), monomaniaci (Achab). Lo Stato di diritto, in una democrazia, riconosce la piena dignità anche degli uomini e delle donne che delinquono. Non deve giudicarli sul piano morale (questo lo fa lo «Stato etico»), applica la legge. “Di tutte le parti del corpo bisogna controllare soprattutto il dito indice, perché è assetato di biasimo», scrive Iosif Brodskij”.»

Questo vi darà un’idea del tipo di discorsi che incontrerete nell’antologia, che, pur mostrando un’ecletticità di voci e argomenti, mantiene un ritmo di lettura rapido grazie anche ai capitoli non troppo lunghi. Questa struttura stimola il lettore a porsi domande senza imporgli un’interpretazione piuttosto che un’altra. Lo stile dei contributi è sempre curato e, in molti casi, ricercato. E gli autori e le autrici si rivelano molto generosə nel parlare apertamente del proprio passato, delle proprie passioni e antipatie letterarie, un aspetto che non è affatto scontato.

Unica pecca: già dalle prime pagine, leggendo gli elenchi di romanzi, raccolte poetiche, opere teatrali e saggi proposti, inizierete a creare una lista di libri da acquistare o leggere; almeno così è stato per me.

Spero di avervi incuriositə con questo articolo. SI tratta di un’antologia molto intelligente che rinuncia a inutili sospiri retorici, lasciando parlare gli/le intellettuali e le letture da loro consigliate, il che ha contribuito a dar vita a un testo uniforme.

E voi? Quali libri aggiungereste nella vostra biblioteca democratica ideale? Io ne ho già in mente alcuni…

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