Dostoevskij prima di Dostoevskij: il laboratorio dei racconti

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Dopo l’articolo dedicato a Il sosia, questo terzo numero della rubrica dedicata a Dostoevskij si occupa invece dei suoi racconti giovanili.

I racconti giovanili di Dostoevskij, scritti tra il 1844 e il 1848, si presentano come anticipazioni della sua poetica e della successiva evoluzione romanzesca. Essi costituiscono un vivido laboratorio delle tensioni che avrebbero animato la sua narrativa matura; e sebbene non posseggano ancora l’orchestrazione dei grandi romanzi, contengono in nuce molte tematiche che faranno dell’autore un indagatore profondo dell’animo umano e un critico implacabile delle contraddizioni sociali, di allora e di oggi.

     Già nel Racconto in nove lettere (1845), riprendendo l’atmosfera e la forma epistolare di Povera gente, più che sulla storia sentimentale l’autore indaga il rapporto tra due amici, che attraverso uno scambio di lettere rivelano le tensioni, i conflitti e le difficoltà delle loro vite. Ivan, uomo di mezza età, di modesta condizione sociale e in lotta con debiti e insoddisfazioni quotidiane, confida a Pëtr, più abbiente e dalla vita apparentemente tranquilla e serena, di essere vittima di truffe e inganni da parte di persone di cui si fidava, fino al tragico epilogo. E già in questo racconto ci confrontiamo col tema della vulnerabilità umana, e la difficoltà di conservare la propria integrità in una società corrotta, dove il tradimento della fiducia rende più amara la vita, e il crollo delle speranze davanti all’ipocrisia sociale la colorano di alienazione e disfatta.

Nel secondo racconto, Il signor Procharčin (1846), incontriamo un impiegato di mezza età di San Pietroburgo, che incapace di stabilire relazioni significative con gli altri resta ai margini della società, ossessionato dal risparmio, al punto da vivere in condizione di povertà nonostante possegga una somma considerevole di denaro nascosta nel materasso. La sua vita cambia quando nel suo appartamento condiviso giunge un giovane pieno di vita (come il sosia di Goljardkin), che solleva sospetti e pettegolezzi tra gli altri inquilini che prendono ad angustiarlo sempre più, finché alla sua morte ne scoprono il segreto. Notevole in questo racconto è la rappresentazione della sordida realtà del quotidiano, accentuata da una disparità economica e sociale in cui l’ossessione per il denaro si erge a simbolo di isolamento e solitudine. Come accade al signor Procharčin, la cui ossessiva avarizia anticipa quella del padre di Raskol’nikov o di Fëdor Karamazov.

     Anche Polzunkov, il protagonista del racconto omonimo(1848),vive ai margini della società, ma con diverso portamento. Nonostante le umili origini e le difficoltà economiche, conserva un forte senso di dignità; ma nel disperato tentativo di migliorare la sua condizione si trova intrappolato in una serie di sfortunate circostanze, che lo portano a un progressivo degrado. A dire che l’uomo, nella lotta per l’identità, non riesce a sottrarsi alla sua condizione in un mondo ostile e indifferente, su cui l’unico spiraglio sarebbe la comprensione reciproca, laddove il fallimento fa di Polzunkov un essere frustrato, al pari del Marmeladov di Delitto e castigo, con cui condivide certa grottesca comicità.

     In Un cuore debole (1848)Vassia è un timido e sensibile impiegato, la cui vita sembra cambiare quando una promozione gli permette di sposare l’amata Lizanka. Senonché la gioia si trasforma presto in ansia per la nuova responsabilità; e Vassia, non riuscendo a gestire lo stress e sempre più ossessionato dall’idea di deludere chi lo circonda, soccombe alla sua condizione di “cuore debole”. Torna qui la riflessione sulla vulnerabilità dell’uomo di fronte alla pressione sociale e alle proprie insicurezze, e quello di una ipersensibilità che ricorda Raskol’nikov; mentre la colpa vissuta solo psichicamente, senza alcun reato concreto, anticipa i dilemmi del principe Myškin e di Ivan Karamazov

     Anche Emel’jan Il’ič, il protagonista di Un ladro onesto (1848), è un povero alcolizzato che trova rifugio nella casa del giovane impiegato Astafij, che mosso a compassione decide di ospitarlo e aiutarlo. Ma quando la natura fiacca e la dipendenza dall’alcol lo portano a compiere un furto ai danni del benefattore, in preda al rimorso Emel’jan gli confessa il suo crimine, dimostrando una così rara onestà che l’amico decide di perdonarlo. E anche se a causa del suo stile di vita la salute si deteriora fatalmente, la vicenda addita una possibilità di riscatto per chi si pente del crimine commesso. Così che, insieme all’uomo onesto che sprofonda nella vergogna per non saper essere all’altezza del bene, anche questo ladro pentito anticipa l’idea della colpa come condizione ontologica di redenzione, se l’uomo si apre alla compassione e alla verità, come il ravvedimento di Raskol’nikov e il gesto sacrificale di Sonia.

     Di sapore vagamente dickensiano è invece il racconto L’albero di Natale (1848), in cui un orfano senza nome vaga per le strade di San Pietroburgo in cerca di calore e conforto. Attraverso una serie di scene strazianti, assistiamo alle difficoltà e alle privazioni del bambino che non ha nessuno a cui chiedere aiuto. Tanto che osservando dall’esterno una festa natalizia in una casa la cui sontuosità contrasta con la sua fredda miseria, prova un po’ di calore solo all’idea di esserci. Ma la realtà gli offre invece come unico rifugio l’albero di Natale di una piazza pubblica, sotto cui si addormenta sognando un mondo d’amore, e al mattino viene trovato morto per il freddo. La disparità sociale e la condizione umana sono rese in questo racconto ancora più spietate per essere osservate attraverso gli occhi di un bambino indigente in una città gelida e desolata. E accorato, seppur vano, si leva l’appello dello scrittore alla solidarietà verso l’infanzia calpestata dal cinismo e l’indifferenza, che risuonerà ne I demoni come critica all’opportunismo adulto contro la purezza infantile, così intensamente rappresentata nell’Iljuša dei Karamazov.  

Al di là dei caratteri, dei personaggi e delle situazioni, ciò che accomuna questi racconti sono alcuni motivi che, percorrendo come un fiume carsico tutto il periodo di improduttività dovuto alla detenzione, riemergeranno nelle grandi opere della maturità con una complessità dialettica e psicologica sempre più accentuata. Come dire che l’universo del grande scrittore si era già profilato in questi lavori giovanili, prima di stratificarsi, grado per grado, nei capolavori supremi. Tra questi temi alcuni sembrano emergere con forza. Il signor Procharčin, Polzunkov o l’anonimo protagonista di Un cuore debole, sono esseri goffi benché profondi e sensibili, infragiliti da un senso di inadeguatezza rispetto a una realtà ostile o indifferente. Personaggi scissi tra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere, e dunque incapaci di sostenere il peso della coscienza, fino al crollo psichico. Ecco perché, essendo il conflitto dialettico tra bene e male non solo esterno ma radicato nell’intimità, in Dostoevskij non troviamo mai personaggi totalmente malvagi o buoni, quanto piuttosto esseri attraversati da contraddizioni e impulsi opposti, come amore ed egoismo, desiderio di purezza e tentazione di viltà. In questo lo scrittore si distacca da ogni rappresentazione manichea, con la visione dell’uomo come campo di battaglia metafisico, dove anche su un funzionario pavido, un modesto impiegato o un padre alcolizzato, pesa il dilemma del libero arbitrio. Ma nelle loro vicende avvertiamo ancora, in maniera esplicita o nascosta, la denuncia di una società meschina e corrotta, l’opportunismo ipocrita, l’autoritarismo burocratico, il culto del denaro, e l’inconsistenza etica di ridurre le relazioni umane a calcoli di potere, reificando l’uomo a funzione sociale.

     Unico lenimento a questo stato non resta che la sempre sollecitata compassione verso i deboli, i poveri e gli sconfitti, la cui presenza nei racconti assume venature quasi evangeliche. Così l’innocenza tradita del bambino sotto L’albero di Natale e la miseria del ladro onesto non sono solo espedienti emotivi, ma invitano a un’umanità elementare ed essenziale, che costituisce la più alta forma di resistenza spirituale contro ogni ideologia disumanizzante. Ecco allora perché in questi racconti, a tratti acerbi ma che già possiedono l’intensità drammatica e la profondità dei capolavori della maturità, si abbozza una visione dell’uomo come essere spezzato e gracile, sì, ma anche capace di libertà e redenzione. Poiché dove la società giudica, Dostoevskij ascolta; dove il mondo condanna, egli tenta di comprendere. E in questa empatia per gli umiliati e gli offesi, per il ridicolo e il delinquente, il colpevole e l’innocente, ritroviamo la grandezza morale, oltre che estetica, della sua letteratura.

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