Abbiamo bisogno di una nuova generazione di intellettuali?

Una settimana di letture #127

3–4 minuti

È sera, e come mi accade spesso mi ritrovo a scrivere questa introduzione dopo cena. Questa volta, però, piuttosto che di impegni imprevisti e stanchezza, la colpa è di un libro. Posso allora raccontarvi come mai oggi quelli che dovevano essere 20 minuti dedicati alla lettura dopo pranzo, si sono trasformati in un’oretta abbondante. Dopo una settimana di piogge, era uscito finalmente il sole e, pagina dopo pagina, ho terminato una raccolta di saggi uscita recentemente per Enaudi: La biblioteca di Raskolnicov, curata da Simonetta Fiori.

La farò breve, dato che vi vorrei parlare meglio di questo libro in un articolo a parte, eppure mi è sorta una domanda da condividere con voi.

In questa antologia di testi, una serie di intellettuali provenienti da ambiti diversi (storia, letteratura, filosofia…) ripercorrono i romanzi e i saggi che hanno formato la loro idea di democrazia: la loro biblioteca democratica. Ovviamente, nel farlo, si soffermano sul concetto stesso di democrazia, di partecipazione politica, di organizzazione dei poteri. Sono riflessioni interessanti e articolate su cui avremo modo di discutere, portate avanti però, eccezion fatta per Nicola Lagioia, da intellettuali simili come formazione e età.

Gli autori e le autrici dei capitoli sono cresciuti nel mondo del dopoguerra, figli della tradizione partigiana, strettamente ancorati al concetto di democrazia maturato durante la resistenza. Nulla di male in questo. Mi chiedo tuttavia, e mi interessa sapere voi cosa ne pensate, dove sono gli altri? Nella contemporaneità di oggi non riusciamo a trovare esponenti di tradizioni diverse che si interroghino sulle ragioni e gli strumenti della democrazia? Tolti i Zagrebelsky, i Canfora e i Revelli, cosa resta?

Questa generazione di studiosi ha dato una spinta fondamentale alla riflessione politica, ma dove sono i frutti di tutto questo? Ho provato a fare mente locale chiedendomi: ci sono oggi intellettuali più vicini alla mia generazione che portano avanti un discorso simile? Di filosofia politica, di etica civile in senso ampio? Ecco, non ho saputo darmi una risposta, e la cosa mi ha lasciata perplessa.

È una questione di età? A 30 o 40 anni non si può ancora parlare di intellettuali formati? Non credo. Ma soprattutto, non è forse giunto il momento di andare oltre l’esperienza della resistenza, per rimodellare quei valori in un modello più attuale, per adattarli alle sfide del progressismo moderno?

Voi cosa ne dite? Vi vengono in mente contributi di altre voci? Fatemi sapere nei commenti al di sotto di questa rassegna!

filosofia


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In questo suo articolo Federico Migliorati recensisce la raccolta di racconti “Le piramidi dei giorni” della scrittrice lituana Opolskaitė. Tema centrale dell’opera solo le dinamiche sociali e familiari, e i sentimenti di nostalgia, malinconia e soffocamento che provano i protagonisti. I suoi racconti, caratterizzati da un’analisi psicologica profonda, ritraggono relazioni complesse e ambienti naturali suggestivi, evidenziando come le piccole vicende quotidiane possano influire profondamente sulla vita delle persone.

LEGGI L’ARTICOLO 👉 Viaggio in Lituania con i racconti di Daina Opolskaitė

Per la nostra rubrica Gli estratti abbiamo invece pubblicato:

6 commenti

  1. Gli intellettuali 2.0 dovrebbero comunicare attraverso TikTok o Instagram per farsi ascoltare, ma questo andrebbe contro il concetto stesso di intelletto (le app citate, al contrario, tendono ad appiattirlo).
    A un certo punto pensieri e parole non bastano più per “erudire” parte della popolazione che, per scelta, preferisce rimanere analfabeta in tanti ambiti.
    Quindi meglio passare dalle parole ai fatti (come Ultima Generazione), ma col pugno di ferro anziché col guanto di velluto.

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    • Ma sai, io comunque vedo molte persone parlare di diritti civili ma anche di letteratura e filosofia su Instagram, io stessa lo faccio. Però ecco trattano di temi specifici e non della posizione del cittadino più ad ampio spettro. C’è anche da dire che oggi come oggi essere intellettuali è quasi un insulto. Ovvero io non credo che la gente voglia essere per forza ignorante, solo che socialmente c’è quasi imbarazzo.

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      • Molti utenti si accodano perché si accorgono che certi argomenti possono fare tendenza e sperano di guadagnarne in visibilità indiretta.
        Non ci si interroga sui problemi etici e morali per ideologia, bensì su quanti seguaci si possono guadagnare parlando di determinati argomenti ai quali la massa appare sensibile.

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  2. Fai riferimento ad intellettuali che hanno maturato se stessi durante la Resistenza, l’hanno fatto sul campo, si sono sporcate le mani. In un certo senso erano quelli che Gramsci avrebbe definito “organici”. C’era il soggetto collettivo che era l’alveo della loro analisi, della loro proposta partecipativa. Oggi quel soggetto collettivo è stato sostituito dalla disgregazione, l’intellettuale – se esiste – non è più dentro i processi, li osserva da lontano, ne appare distaccato.

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    • Sì, hai ragione. La frammentarietà di per sé non è un ostacolo, lo diventa quando manca la voglia di mettersi insieme e perseguire un discorso generale, seppur guardandolo da prospettive diverse. E poi c’è tanta tanta pigrizia secondo me insieme al cinismo. Io stesso mi sento spesso dire che sono troppo idealista, che i valori non esistono, che la politica è tutto un magna magna e niente, penso che per quanto facile sia un approccio un po’ vuoto…

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