Nichilismo e retorica: Gorgia e la negazione della realtà

Briciola di filosofia #25

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Trovate le puntate precedenti, sulla pagina dedicata a questa rubrica: Briciole di filosofia


Se a qualcuno i siciliani dovessero sembrare cavillosi, pensi che il più radicale e forse il più acuto ingegno sofistico spuntò proprio in quella terra. Si chiamava Gorgia, ed era nato a Leontini circa 2500 anni fa. Contemporaneo di Protagora, dopo aver insegnato nell’isola viaggiò per tutta la Grecia, compresa Atene. E dappertutto raccolse prestigio e onori per la gagliardia della sua oratoria, in cui, in polemica contro gli eleati, portava alle estreme conseguenze le tesi di Protagora, dirottandole da un relativismo scettico verso un nichilismo radicale…

Il suo pensiero, espresso nello scritto Sul non essere e sulla natura, di cui ci restano solo frammenti e ricostruzioni posteriori, si può riassumere in tre punti: molto sintetici, invero, ma per nulla semplici.

  1. Nulla è
  2. Se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile
  3. Se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile

Da cui risulta chiara la polemica contro la teoria dell’essere parmenideo, da Gorgia ironicamente confutata.

Nella nostra esperienza comune, noi vediamo il mondo, e diciamo che esiste; pensiamo, quasi sempre ritenendo di farlo in modo giusto; e nella conversazione con gli altri tendiamo a persuaderli della bontà di ciò che crediamo, anche quando siamo disposti ad accogliere i loro punti di vista e cambiare casomai opinione. Ora, contro ogni ragionevole evidenza, Gorgia esclude tutte e tre queste possibilità, negando al tempo stesso l’esistenza della realtà, la possibilità di conoscerla e quella di comunicarla agli altri. Più pazzo di così! Tanto che verrebbe da obiettare, sofisticamente, che però le somme favolose che incassava erano ben reali… Ma allora, o era in malafede, oppure… Ecco, appunto, oppure…

Per comprendere il suo pensiero, sarà opportuno tenere ben distinti quelli che fin dall’antichità erano considerati i tre piani della realtà:

  • il piano ontologico: che riguarda la realtà in sé e per sé (anche se non è conosciuta)
  • il piano logico: quello della mente che investiga e interpreta la realtà
  • il piano espressivo: quello della comunicazione con altri uomini

Tenendo ben presente la distinzione tra questi tre piani, riconsideriamo ora le tesi di Gorgia.

In polemica con gli eleati che affermavano che solo l’essere è mentre il non-essere non è, Gorgia ritiene che non solo il non-essere ma neanche l’essere è: e per dimostrarne l’assurdità ricorre ai loro stessi argomenti. A Parmenide (e a Melisso) contesta infatti che se l’essere è eterno, come essi ritengono, è anche infinito; ma in quanto infinito sarebbe anche illimitato, e non potendo stare in nessun luogo sarebbe dunque inesistente. Se invece l’essere fosse finito e generato, allora deriverebbe proprio da quel non-essere da loro negato, e che dunque non potrebbe generarlo; se invece viene dall’essere, significa che c’era anche prima, e dunque era ingenerato: con la conclusione che l’essere sarebbe contemporaneamente esistente e non esistente, il che è assurdo…

Ma anche ad ammettere che qualcosa esiste, come può il nostro pensiero rapportarsi a ciò e conoscerla? Per Parmenide ciò è possibile perché l’essere e il pensiero coincidono, e la realtà logica può cogliere quella ontologica. Ma per Gorgia questo non vale affatto: dal pensiero di qualcosa non se ne può dedurre l’esistenza, perché il pensiero non trova immediata corrispondenza col mondo esterno, tant’è vero che l’uomo può pensare un’infinità di cose che non esistono (come accade nelle allucinazioni). E quindi, riguardo all’essere, noi non possiamo affatto sapere se ciò che pensiamo esiste.

Ma anche ammesso che esista un qualcosa, e che possiamo pensarlo, chi ci garantisce che possiamo comunicarlo anche ad altri? Se ognuno ha una propria sensibilità, stati d’animo, percezione e capacità di intendere, come possiamo credere che ciò che io dico arrivi all’altro esattamente come io lo intendo? Se dico a qualcuno di pensare a un albero, di certo non lo immaginerà come me, nello stesso paesaggio e nella stessa forma. E allora, come posso credere che la mia parola abbia trasmesso al mio interlocutore il mio pensiero? Il fatto è che se l’uomo comunica essenzialmente con la parola, il linguaggio di cui ci serviamo allude solo per convenzione alla realtà delle cose che pronunciamo, ma non dice nulla sulla loro esistenza, e si risolve, per così dire, in un circolo verbale autoreferenziale. La parola da sola non significa niente se non rinvia a un’esperienza sensibile, e non esprime altra realtà che non sia quella della parola stessa (qui si potrebbe aprire un capitolo fecondo per avvalorare almeno l’esistenza della parola contro il nulla gorgiano, ma ci porterebbe lontano…). E se l’essere non lo possiamo esprimere, e non lo possiamo conoscere perché anche la logica si serve della parola, allora dove possiamo trovare la certezza che davvero esista?

Eppure, proprio per la sua impossibilità a comunicare la verità, la parola acquista in Gorgia quel valore che le attribuiscono in generale i sofisti. Se non esistono verità assolute, come già voleva Protagora, e se nulla è, come dice Gorgia, la parola avvalora la validità della retorica. Essendo la funzione del discorso non quella di dire il vero, ma solo di persuadere, siccome tutte le opinioni sono ugualmente valide o ugualmente false, ecco che domina l’arte della parola, che se non trasmette verità oggettive possiede la formidabile forza persuasiva in grado di dominare gli uomini, riducendo o aumentando paura, mitigando il dolore, suscitando consensi o ostilità (basti pensare alla propaganda o alle fake news, con la loro enorme capacità di lavare cervelli). Lo stesso Gorgia, del resto, ne diede un esempio (tutto sommato innocuo), dimostrando contro il mainstream di allora l’innocenza di Elena nella faccenda di Troia. Poiché, sia che si fosse invaghita di Paride per volontà degli dèi, o che fosse cascata in una trappola di circostanza, o che avesse ceduto a una passione irrefrenabile, in ogni caso la povera donna era stata vittima di una forza superiore di cui poco era responsabile, essendo l’intera vita umana dominata, in maniera oscura e incomprensibile, non dalla logica ma dal caso (khairos).

Come si può vedere, rispetto all’altro grande sofista suo contemporaneo, la posizione di Gorgia è molto più radicale, visto che alle verità relative di Protagora egli oppone la più coriacea visione di una realtà illusoria e dominata dal caso. Se Protagora riconosce la medesima validità di tutte le opinioni, per problematicità di una verità assoluta, Gorgia nega alla base la possibilità di una verità. Ma non deve stupire se, pur movendo da premesse così divergenti, entrambi finiscono per trovare un punto di convergenza nel fatto che, in mancanza di criteri oggettivi per stabilire il vero, il giusto o l’assoluto, entrambi esaltano il potere persuasivo del linguaggio, capace, nei loro odierni scimmiottatori, di vendere tonnellate di fumo anche quando l’arrosto non c’è…


 

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